Un connubio fra Svezia e Stati Uniti ha dato origine a una cartuccia di particolare interesse nel tiro a lunga distanza pur se richiede molta attenzione nella ricarica per figurare al meglio.
di Emanuele Tabasso
L’onda delle ha portato risultati oltremodo interessanti, ma un’impostazione di bossolo con parametri differenti si è messa in concorrenza con fare perentorio. Per non cadere nel manicheo di qua tutto bene e di là tutto male razzoliamo con animo indagatore sui motivi che hanno mosso nel recente passato gli studi di cartucce con camera a polvere corta e di sezione più ampia.
Le finalità divergono già all’origine e i nuovi studi hanno privilegiato in maniera pressante la precisione intrinseca mentre prima era la potenza a dominare la scena, sempre con un’elevata precisione e l’impiego di proiettili pesanti, in termini venatori e da bersaglio.
La strada tracciata da diversi ricaricatori, sublimata da Ferry Pindell e Lou Palmisano con il loro 6 PPC, derivato dal bossolo del .220 Russian e sviluppato poi nei vari 6 mm da bench rest, è stata ulteriormente sondata con un occhio alla precisione, ma con l’altro sulla lunga distanza e sul mantenimento di una giusta dose di energia. Gli Scandinavi hanno una radicata tradizione nel settore e le due Case nordiche di munizioni, la Lapua finlandese e la Norma svedese hanno messo in campo due belle realizzazioni: rispettivamente la 6,5×47 e la 6,5-284. La prima nata ex novo, la seconda, di cui ci occupiamo ora, frutto di un sagace ripescaggio commerciale.
Il pensiero informatore di questi studi aveva appurato come fosse conveniente far lavorare le moderne polveri a pressioni elevate per maggiore uniformità di combustione, disponendo di bossoli in grado di sopportare questo lavoro: era un primo passo verso la precisione e la costanza dei tiri favorita inoltre dalla ridotta dimensione delle azioni adatte a queste cartucce, potenzialmente più rigide di quelle lunghe. Non sappiamo se sia vera la storia che si narra sulla genesi di questa cartuccia inventata per rendere appetibili al mercato molte canne invendute del 6,5×55 SM cambiandone solo la cameratura: sta di fatto che andare a riprendere la cartuccia .284 Win. è stata una brillante idea.
Nata nel 1963 per i fucili Winchester Mod. 88 e 100, a leva e semiauto, questa cartuccia aveva in sé alcune prerogative dei futuri Short Magnum che avrebbero visto la luce quasi una quarantina d’anni dopo: il corpo allargato alla misura dei magnum e già senza cintura, il fondello ribassato adatto a qualsiasi otturatore da .30-06 Sprg e simili, erano inusuali insieme alla lunghezza da 55 mm quando imperversavano i 66 mm del 7 Rem. Mag. o i 68 del 6,5 mm di Schuler. L’angolo di spalla era aumentato di circa 15’ rispetto ai decisi 70° del bossolo originario assecondando la riduzione del colletto e anche questa prerogativa sarà ripresa dagli Short Magnum degli inizi del terzo millennio. Insomma per illustrare questa cartuccia che ha conosciuto il mercato fra il ’98 e il ’99 è doveroso un bel salto indietro nel tempo dando a Winchester quel che le spetta nell’inventiva molto anticipata: forse fu proprio questo fuori tempo a decretarne l’insuccesso e anche oggi pochi parlano di tali prerogative funzionali su cui riposa la novità della Norma a cui va ovviamente il merito di aver tolto dall’oblio la .284 Win. ritagliandole una nuova, aggiornata veste che le sta a pennello. Anche qui troviamo pressioni intorno ai 4100 bar con impiego di polveri progressive come la N/560 o la N/165 e capacità di spingere proiettili fra i 120 e i 140 grs, ben compatibili con il passo di rigatura usualmente di 1:10.
Per raggiungere le più elevate concentrazioni di colpi vanno tenute ugualmente sotto controllo l’altezza totale in rapporto alla misura della gola (il throat in inglese) e dello spazio libero prima dell’inizio della rigatura (il free boring), senza ridurlo troppo per non incorrere in picchi di pressione rischiosi. Non tutti i fabbricanti tengono volentieri questa cameratura disponibile nella loro produzione proprio per certe difficoltà di trovare la ricarica adeguata, che ovviamente non è gioco da principianti, ma da consumati esperti: ovvio che se non si conseguono certi risultati si pensa male del fucile prima che della propria opera, ed è questo che il costruttore accorto vorrebbe evitare. Abbiamo avuto modo di provare alcune realizzazioni che vanno dalla prettamente venatoria, alla Tactical della stessa Casa, alle Kelbly Kodiak e Atlas dove il calibro è punzonato come 6,5/284 Win. I ricaricatori che ci hanno assecondato nelle prove hanno fatto toccare con mano la delicatezza della messa a punto insieme a risultati strepitosi quando si raggiunge quel che il binomio arma e cartuccia è in grado tecnicamente di esprimere.