Nelle nostre zone un Weatherby camerato per la .378 Weath. Mag. è incontro davvero insolito, tuttavia alcuni africanisti avevano dato la massima fiducia al binomio fra la cartuccia dell’indimenticato Roy californiano e il fucile Mk V per le battute di caccia nella savana africana dove i big five erano alla portata dello straordinario binomio. Qualche cosa ogni tanto appare a memoria di sogni e imprese di rara bellezza e, magari da tutt’altra zona da dove è apparso il fucile, salta fuori da un cassetto una scatola di cartucce degli Anni 70 che conserva tutto il fascino delle cose belle e dei magnifici pensieri che vi sono rimasti attaccati. Per dirla tutta e in maniera poco poetica ai bossoli è rimasto appiccicato un velo di ossido piuttosto marcato che non abbiamo voluto levare: la storia si sedimenta sugli oggetti anche in questa maniera.
Il ventaglio di proposte offerto da Weatherby a partire dagli inizi dell’attività nel corso degli Anni 40 è stato molto vasto coprendo con i suoi calibri tutti i valori salienti della scala gerarchica statunitense: non sono stati proposti con una logica di misura quanto con un indirizzo alle esigenze e alle predilezioni del momento della probabile clientela, catturata dalla pubblicità reboante dell’azienda, suffragata dalle prestazioni sempre al di là dei pari calibro consueti. La minima è stata la .224 Weath. Mag., le medie di gran successo sono state la .257, la .270 e la .300 per salire poi alla .340 e a questa .378, penultima nata nel ’53 e seguita ancora dalla .460 del ’58. Con l’intento di fornire sempre qualcosa in più rispetto alla concorrenza e indagando fra i calibri da Africa il costruttore californiano aveva proposto fra il ’44 e il ’45 una sua .375 Weath. Mag. derivata dalla stessa misura della cartuccia inglese di H. & H. modificando un poco l’angolatura del bossolo e la spalla così da ottenere una camera a polvere maggiorata rispetto all’originale. Pare che i risultati fossero encomiabili, ma pare ugualmente che da noi non siano mai arrivate carabine così camerate, prodotte per la verità solo e unicamente dalla ditta di origine. Immaginiamo con facilità che il divario di prestazioni fra Holland e Weatherby fosse qui troppo esiguo e non soddisfacesse appieno il progettista buttatosi dopo la fine della II GM allo studio di qualcosa di più prestante. Nasce così la .378 Weath. Mag. con un bossolo a sé stante, di capienza inusitata tanto che si dovette progettare e allestire uno speciale innesco, detto N. 115, che la Federal mise in produzione seguendo le orme, i desideri e le necessità del costruttore: il quantitativo di polvere si era rivelato talmente ingente da abbisognare di una fiammata di potenza incredibile per accendersi a dovere dando luogo ai giusti tempi di combustione. La ricarica allestita nei tempi attuali vede da parte del Maestro un’infima riduzione così che il quantitativo di Norma MRP tocca i 110 gr anziché i 111 gr previsti per accelerare un piccolo bolide da 300 gr SPRN, oppure altre due cariche identiche con proiettili Sierra SPBT da 300 gr oppure Sierra SPBT da 270 gr. Secondo i dati delle cariche originali la palla da .270 gr svilupperebbe ben 980 m/sec di velocità alla bocca, ma è poco da meno la 300 gr con 892 m/sec mentre le energie si posizionano fra 856 e 786 kgm. Decisamente apprezzabile anche la tensione di traiettoria con una MRT (mid range trajectory) a 200 iarde pari a 2” o 2,5” (5,10 o 6,35 cm) per palle da 270 e 300 gr.
Brillanti risultati che in poligono scatenano una furia di baccano e di turbinio d’aria per il freno di bocca Pendleton a cui va comunque ascritta una certa riduzione del rinculo che, per il tiratore non aduso a simili esperienze, può comunque apparire punitivo. In effetti tale sensazione si distacca sensibilmente da quella rilasciata da un express dove già il peso dell’arma fa la sua parte, poi la carica e la forma del bossolo diluiscono i tanti kgm in un tempuscolo allungato e soprattutto, apportando un colpo d’ariete di minore entità. L’impiego va visto soprattutto e quasi esclusivamente sui selvatici africani o asiatici, in particolare sui pachidermi dove occorre attraversare imponenti masse muscolari per arrivare a interessare gli organi interni e produrre lo shock desiderato interrompendo la carica di un elefante, di un rinoceronte o di un bufalo; i proiettili sono quasi sempre a testa rotonda e con una mantellatura assai resistente, meglio se saldata al nucleo così da non perder pezzi nel tragitto interno, scaricando tutta l’energia e attingendo cuore, fegato, polmoni anche se il colpo è stato sparato da una posizione non proprio ottimale: da fermo si può agire con maggior scelta, ma sotto carica si fa come si può.
Il doppiare il colpo è appannaggio di tiratori di consumata esperienza perché a chi è abituato a un .243 Win. o similari occorre un tempo discreto per riaversi dalla botta, azionare l’otturatore e riprendere l’assetto perfezionando nuovamente la mira e ripremendo il grilletto: intanto il selvatico avanza a passo di carica e con una sola idea in mente: farvi fuori! E questa cartuccia può concorrere, se ben gestita, alla vostra salvezza per raccontarla e per ripresentarsi in savana, pronti per un’ennesima esperienza.