Secondo Boidi, la causa «è il meccanismo troppo complicato previsto per ammissioni dei cacciatori negli Atc. Altri problemi riguardano l’attività venatoria vera e propria: le nuove regole impongono il rilascio della selvaggina, sopratutto i fagiani, sul territorio in tarda primavera, in anticipo rispetto al passato. Dobbiamo ancora valutare se ciò ha consentito agli animali di sopravvivere in un’estate calda e con poca acqua a disposizione». Inoltre, sottolinea Boidi, «ripopolamento tramite le zone stabilite e cattura (zrc) non riesce a dare i risultati sperati poiché ci sono troppi predatori.
La legge deve essere modificata per consentire di contenere volpe, lupo, cornacchia e altre specie. L’alternativa è ricorrere al lancio della selvaggina che non garantisce mai l’acclimatamento degli animali, al contrario di quando la riproduzione avviene sul territorio». Il presidente dei due Atc alessandrini evidenzia infine «l’aumento di cinghiali e caprioli che portano sempre più danni all’agricoltura». Anche negli Atc appenninici ci sono meno cacciatori: nell’Al3 (Tortonese, Val Curone e Val Borbera) da 1459 a 1392, nell’Al4 (Acquese, Ovadese e parte della Val Lemme) da 1300 a 1243. Per il presidente Roberto Prando, la responsabilità è in particolare del limite del 10% ai cacciatori foranei, cioè provenienti da altre Regioni: «La nuova giunta regionale ha dato agli Atc la possibilità di derogare in parte a questo limite.
Non ha senso limitare l’afflusso di cacciatori dalle Regioni confinanti. La norma dell’ex assessore Ferrero era contro i cacciatori e ora ci si aspetta che sia rivista o abrogata». Il calo degli appassionati è visibile a occhio, secondo Prando: «Facendo vigilanza nell’Atc Al 3 è evidente che sul territorio ci siano meno cacciatori». Anche in questo Atc si cerca di fornire prede ai cacciatori: sono state immesse 1.300 pernici rosse e 300 starne, «per ora non cacciabili. Il prossimo anno faremo un censimento per valutare la situazione», conclude il presidente dei due ambiti meridionali (La Stampa).