Comunicato Arcicaccia: Il vento del cambiamento anche per la caccia e la cinofilia
“Partecipazione e risultati” dei recenti referendum ci consegnano un Paese diverso. Noi siamo stati tra quelli che hanno fatto appello al voto e hanno reso pubblica l’indicazione per il Si. Abbiamo sentito il dovere di farlo partendo dal presupposto che i temi trattati dai referendum – nucleare ed acqua – fossero in stretta relazione con i temi tanto cari a noi cacciatori: la salvaguardia dell’ambiente, la tutela dei beni comuni, il buon governo del territorio, la sicurezza, la qualità dello sviluppo. Lo abbiamo fatto innalzando le nostre bandiere, orgogliosi di essere cittadini e cacciatori che sanno collegarsi agli interessi collettivi, che fanno la loro parte all’interno della comunità nazionale nel segno dell’appartenenza ad un Paese, unito, indipendente, libero, democratico e repubblicano, come spesso ama ricordare il presidente Napolitano. Lo abbiamo fatto anche per ribadire l’utilità dello strumento referendario quanto tratta argomenti importanti e non faziosi e strumentali come è successo pure in alcune occasioni riguardanti l’attività venatoria.
Ci ha fatto davvero piacere sapere che il quorum era stato abbondantemente raggiunto e che la quasi totalità dei votanti aveva dato indicazione per un futuro improntato all’efficienza energetica e alle rinnovabili, ad un servizio idrico capace di garantire acqua pubblica e servizi efficienti e ad una giustizia uguale per tutti i cittadini. Ci sarebbe davvero piaciuto che insieme a noi, a rappresentare più complessivamente il mondo venatorio, fossero altre organizzazioni, anche nella diversità delle opinioni che avrebbero potuto essere manifestate. Così non è stato: ancora una volta si è scelta la strada del silenzio e si è dato un ulteriore irresponsabile “contributo” alla marginalizzazione dei cacciatori. Esattamente il contrario della necessità di valorizzare il fatto – come emerge da una indagine commissionata da coloro che poi praticano la logica della corporazione – che i cacciatori sono in sintonia con il Paese allorché praticano una caccia sostenibile e rispettosa dell’ambiente e delle regole italiane e comunitarie. Due facce e due volti, gli stessi che portano un giorno a stringere accordi sui tavoli istituzionali e il giorno dopo a smentirli. Ma dove vivono lorsignori? Si accorgono della realtà che li circonda? Avvertono l’isolamento nel quale hanno rinchiuso migliaia di cacciatori? Riescono a guardare oltre la specificità degli interessi di bottega? Pensano così di portare la caccia nel futuro? Perché non fanno tesoro delle gravi sconfitte parlamentari che hanno prodotto l’unica modifica di cui non si sentiva il bisogno: l’articolo 18 della legge 157 che ora rischia di generare incertezza e confusione sulle date di apertura e chiusura di tante specie cacciabili financo a sollevare conflitti e scontri nei tribuni amministrativi e nella società. Un capolavoro di strategia per chi ha solo a cuore la ricerca di un effimero consenso strappando sulle proposte demagogiche ed irrealizzabili qualche socio in buona fede che magari ha deciso di cambiare casacca solo perché facendolo paga meno la tessera assicurativa. E allora all’insegna del “mors tua, vita mea”, tutta interna alla logica della divisione delle briciole venatorie, assisteremo alla solita elencazione della carta dei sogni, a chi urla più forte, a chi promette e non rispetta, a chi si affida al politico imbonitore di turno, a chi fa finta di prendere le distanze dal proprio partito nel classico gioco delle parti tanto utile per far sopravvivere gli opposti estremismi.
Figuriamoci ora che si avvicina la campagna di tesseramento quante se ne diranno! Di male in peggio sapendo che invece è in un quadro di serenità e di rispetto delle regole che si afferma la certezza di diritto per i cacciatori. Con questa premessa abbiamo sperato che il tavolo di concertazione convocato dalla Conferenza delle Regioni con la presenza di tutte le forze sociali concludesse i suoi lavori raggiungendo quell’intesa utile a guardare al futuro della caccia con rinnovata fiducia. Di un nuovo inizio c’era bisogno e avere la forza di superare una fase storica all’insegna dello scontro era già il primo importante traguardo da conquistare ancor prima dell’accordo sui singoli aspetti tecnici e regolamentari. Tante sensibilità diverse dedite alla ricerca della comprensione reciproca per guardare oltre gli interessi specifici di agricoltori, ambientalisti e cacciatori. Quella stretta di mano finale e quelle dichiarazioni solenni valevano più di una firma sotto un documento. Purtroppo però, come sempre, sono durate lo spazio di una notte perché l’indomani c’era ancora una volta la necessità di rincorrere le frasi roboanti, le tessere associative, il potere interno alla propria associazione. Un film già visto e oltremodo offensivo verso quelle istituzioni che avevano offerto una possibilità. Ora la parola sui calendari venatori passa alle regioni. Quelle che riusciranno ad approvarli in ossequio alle norme di legge potranno offrire certezze ai cacciatori. Quelle che procederanno diversamente, sotto la spinta del bieco populismo, sanno bene che saranno i magistrati a correggere, ad annullare, ad integrare. Staremo a vedere, con l’auspicio che il vento di cambiamento che ha portato con se i referendum raggiunga prima o poi anche il mondo venatorio. Per quanto ci riguarda continueremo a lavorare per far spalancare le finestre chiuse. C’è da far uscire quell’aria rarefatta e stantia frutto di furbizie, imbrogli e disonestà intellettuale.
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Un brutto risveglio per la cinofilia italiana dopo l’ordinanza della sottosegretaria Martini, che ha la delega del ministro Fazio ad occuparsi di questi temi. Non c’è in ballo solo il divieto del taglio della coda ma per la prima volta il tema del benessere animale assume un rilievo esclusivo e predominante rispetto ad altri riferimenti sociali, culturali ed economici tra i quali la selezione zootecnica. Vale a dire che dall’ordinanza è scomparsa la legittimazione che il taglio della coda può avvenire nel rispetto dello standard morfologico di quelle razze canine riconosciute dalla Federazione Cinologica internazionale. Non è una cosa di poco conto, è una vera e propria rivoluzione culturale e sociale avvenuta senza quella reazione che ti aspetteresti da chi è chiamato a tutelare il cane di razza. Ora la decisione dell’eventuale taglio della coda è lasciata al libero arbitrio dei medici veterinari che potranno decidere in tal senso (o anche negare questa possibilità) per ragioni “di medicina veterinaria” o “nell’interesse di un determinato animale”. Su tutti i cani, in potenza, si potrebbe procedere in tal senso e però ciò equivale anche a dire che viene negato il lavoro appassionato e di grande sacrificio di tutti quegli allevatori e cinofili che fino ad ora lo hanno fatto in ragione di quella missione zootecnica che ha reso il nostro Paese primo nel mondo. Per di più si fa notare che si sta parlando di eccezioni (“un determinato animale” sottolinea l’ordinanza) e non di prassi generalizzata che nelle precedenti ordinanze veniva affidata alla scelta degli allevatori perché riconosciuti (contrariamente ad oggi) portatori di determinate funzioni e ruoli. E si pensi per un attimo a tutte quelle forme di pressione, anche legali, che i veterinari subiranno perché danno corso alla deroga a loro concessa. C’è chi si sottrarrà per ragioni etiche, chi lo farà in forza di un ragionamento scientifico e chi per non avere fastidi nello svolgimento della professione. E allora cosa c’è da festeggiare? Che un ministro con una circolare (di valore giuridico prossimo allo zero rispetto ad una ordinanza) ha tranquillizzato i cinofili richiamando standard morfologici e funzioni zootecniche? Che dalle interpretazioni, più o meno autorevoli, verrebbe confermata la possibilità del taglio della coda? Che fino ad ora non è successo niente e quindi tutto è tranquillo?
E quanto durerà questa tregua tattico-politica tutta interna agli equilibri governativi? Lo spazio di insediamento di un governo e dei suoi sottosegretari e ministri. Che succederà quando altri siederanno su quelle poltrone magari portando sensibilità diverse? Rimarranno le ordinanze, diventeranno carta straccia le circolari nel mentre la missione zootecnica è andata a farsi benedire.
Allora c’è da domandarsi: perché tanta apatia e tanto silenzio intorno a questo importante tema per i cinofili e gli allevatori? Perché non si è scelta la strada della protesta, della mobilitazione? Perché il ministero delle politiche agricole e i gruppi parlamentari non sono stati attivati e non è stata insediata subito una task force capace di assumere la regia di fronte ad una emergenza vera? Le risposte le devono dare altri perché ad altri spetta il compito prioritario di tutelare allevatori e cinofili e non solo di chiedere deleghe in bianco.
Marco Ciarafoni
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