E come potrebbe essere altrimenti dopo ore di attesa al gelo che precede e segue l’alba su quell’altana in terra slovena? Già, come potrebbe mai scordarselo un cervo come quello, un giovane cacciatore nato e cresciuto tra le gabbiette dei richiami, immerso nelle pareti verdi di roccoli e appostamenti di montagna?
Prima la botte, poi l’altana… finché, con un weekend di caccia in terra slovena, mi si offre la possibilità di conoscere il padrone del bosco, sua maestà il cervo
Sin da piccolo ho avuto la fortuna di far parte di una famiglia con tradizioni venatorie, di roccolatori ma soprattutto di cacciatori, di amanti della natura, delle giornate all’aria aperta, come quelle trascorse nelle botti del lago di Massaciuccoli dove scendevano in picchiata come aerei da combattimento alzavole, moriglioni e germani.
Questa era la mia caccia. Da qualche anno, invece, c’è stata una svolta, una nuova passione, mi sono presentato a sostenere gli esami di zona Alpi prima e di caccia di selezione agli ungulati come accompagnatore poi e mi si è aperto così un nuovo mondo. Il fascino della caccia in montagna a caprioli e camosci ha preso il sopravvento nelle mie giornate venatorie. Solo recentemente, quasi per caso, ho seguito un mio caro amico cacciatore a palla per un week end di caccia in terra slovena nel mese di novembre, con il programma di cacciare i vitelli di cervo poiché il periodo del bramito era ovviamente passato e mi si offriva la possibilità di conoscere il padrone del bosco, sua maestà il cervo.
All’epoca avevo solo una carabina, la mia Blaser k 9,5 con due canne nei differenti calibri 25-06 e 30-06, quindi portai con me la seconda, più adatta alla caccia che avrei affrontato. Parto insieme a Piero e Martino alla volta della terra slovena in una riserva al confine con la Croazia. Il luogo come si presenta ai miei occhi appena arrivato è magnifico: boschi di pini sconfinati, pratoni verdi sembrano isole sparse negli atolli di un paesaggio tra pianura e montagna che lascia a bocca aperta: per certi aspetti sembra di essere in Canada, invece sono a sole cinque ore di viaggio da Milano. Alla sera avevo preparato tutto il necessario come mia consuetudine, controllato accuratamente la mia arma e i colpi in calibro 30.06, il mio binocolo, il telemetro e preparo anche la mantella di loden che mi aveva prestato papà, perché il freddo alla mattina presto è pungente, fermi come saremo sull’altana a cinque gradi sotto zero.
Ci svegliamo prima dell’alba, facciamo colazione e poi partiamo, ognuno di noi con il suo accompagnatore verso le zone di caccia. Con me c’è Ivo, esperto cacciatore che, dalla corporatura, mi ricorda Big Jim. Mi racconta in un italiano approssimativo ma efficace di essere stato nei corpi speciali durante la guerra dei Balcani e questo lì per lì mi mette un po’ di soggezione, ma capisco subito che è molto gentile e soprattutto un grande cacciatore. Camminiamo lungo un sentierino del bosco lungo il quale Ivo sembra avere un radar intorno a sé, lo seguo a pochi centimetri cercando di calpestare le stesse sue impronte sul terreno ricoperto da un’abbondante brinata.
Femmine tre, maschio uno… Posiziono il centro del reticolo dell’ottica alla base del collo sullo sterno del cervo, mi sembra un giusto punto vitale per come mi si presenta l’animale e lentamente premo il grilletto quasi impaurito
Arriviamo finalmente vicino all’altana e saliamo senza fare il minimo rumore: Ivo non mi parla, mi fa solo alcuni gesti e, con gli occhi azzurro ghiaccio, mi indica dove posizionarmi. Ci copriamo e aspettiamo e, mentre le luci dell’alba avanzano, il paesaggio intorno a noi sembra incantato: pini bassi e alti si alternano a betulle ricoperte di brina, il prato davanti alla nostra altana mi ricorda un lago ghiacciato, il silenzio attorno a noi è solo interrotto dal rumore delle campane di una chiesa in lontananza, sette i rintocchi. A un tratto Ivo mi tocca sul fianco con la sua spalla possente e mi sussurra: “Femmine cervo… tre, guardare tu”. Mi volto dalla sua parte e a cento metri, tra il candore della brina e il verde dei pini, fanno capolino nella loro eleganza proprio tre femmine di cervo. Ivo mi fa cenno di prepararmi, di caricare l’arma e di prendere posizione per il tiro.
Mi inginocchio facendo pianissimo e appoggio la carabina sulla mensola del bordo dell’altana, tolgo la sicura dalla mia Blaser e aspetto fissando nell’ottica il lento movimento delle femmine. Le gambe dopo un po’ iniziano a pulsare, immobilizzato come sono in quella posizione. Sono come paralizzato. Improvvisamente dietro le femmine si intravede un’ombra. Ivo mi bisbiglia: “Cervo maschio, cervo maschio!…” Dall’agitazione non riesco a vederlo. “Dietro, dietro… tu guarda bene” continua a ripetermi Ivo, agitato pure lui. Io non ne ho nemmeno la capacità: mi sento il cuore in gola, smetto quasi di respirare. Poi lo vedo, eccolo, sbuca dal bosco e s’incammina fronte a me. Posiziono il centro del reticolo dell’ottica alla base del collo sullo sterno del cervo, mi sembra un giusto punto vitale per come mi si presenta l’animale e lentamente premo il grilletto quasi impaurito. Il colpo spezza il silenzio del bosco, le femmine scappano in tutte le direzione e scompaiono come fantasmi nella nebbia. Il cervo maschio barcolla, fa tre metri e cade sulle zampe anteriori. Adesso il silenzio si è fatto ancor più assoluto di prima del colpo. Lo rompe finalmente Ivo che mi guarda e mi abbraccia, praticamente mi stritola e mi dice “Tu bravo cacciatore, buono cervo kaput”. Andiamo a recuperare il cervo e ad attribuirgli gli onori venatori come si conviene. Ivo pensa lui a tutto, con la sua incredibile forza lo prende per il palco e lo trasporta verso la macchina, soddisfatto della riuscita mattina di caccia e felice di avermi fatto abbattere il mio primo cervo. Io lo ringrazio ancora adesso perché, a distanza di anni, le immagini e i ricordi di quella prima volta sono ancora vivi nella mia mente.
di Antonio Bana (Presidente Assoarmieri)