Dalla morfologia allo standard di lavoro; dalla storia all’impiego pratico; dalla scelta del cucciolone all’addestramento
Carattere – Difficilissimo da definire il carattere del pointer: c’è chi, sulla scorta degli autori classici inglesi, sostiene che il pointer è una macchina da caccia e come tale deve essere trattato. Ciò significa un canile confortevole, un cibo appropriato, uscite venatorie frequenti e consistenti, e stop. Ma chi ha avuto pointer sostiene che sebbene la razza possegga un carattere fierissimo, sicchè è facile allo sdegno, all’impermalimento, al rifiuto di compiere un esercizio impostogli in maniera autoritaria e brutale, possiede anche una dolcissima maniera di legarsi al padrone, essendo, perciò, un ausiliare perfetto anche dal punto di vista affettivo.
Può essere remissivo il pointer, solo se è convinto di quanto gli si chiede, ma anche per lui la vicinanza dell’uomo, è. tutto sommato, molto importante. Solo che (e npn c’è tema di umanizzarlo troppo) forse questo grande animale ha una tale fierezza da poter sopportare, soffrendo di meno, la distanza dal cacciatore e la segregazione in canile. Esistono di certo dei pointer testoni, anzi ormai da tempo ne nascono in abbondanza, ma non è su certi energumeni che ci si deve basare per descrivere una razza. E quindi un pointer di carattere pur non avendo la remissività di un gattino, dimostra in realtà meno rigidezza di quanto i suoi occhi rotondi e che guardano in faccia potrebbero far pensare. E la malleabilità la dimostra anche, se è un animale col cervello (perché anche i pointer possono nascere scriteriati), con la maniera di reagire al dressaggio, bastando, in generale, pochissime correzioni per ottenere quanto si vuole faccia. Diffuso in tutto il mondo il pointer probabilmente non è più neppure una razza, perchè tra i cani che si allevano in America, quelli che restano nella Gran Bretagna e nella Scozia, e quelli di Francia, Italia, Danimarca, Norvegia, c’è, molto probabilmente, più differenza di quanto non ci sia comunemente tra altre due razze diverse. Ma il pointer ha il difetto di essere una razza talmente studiata, definita, migliorata, allevata, usata che oramai ha, per chi la sa comprendere, una indiscutibile fisionomia spirituale. Il pointer, anche come carattere, oramai più che un cane è un mito.
Difetti funzionali e di carattere – Il pericolo nel pointer è costituito dal carattere, che è di norma già abbastanza vicino al limite della rottura, sicchè è molto facile incappare in ipersensibili, difficili da dressare, o addirittura in timidi, paurosi dello sparo, del selvatico, delle persone. Non che la percentuale di soggetti così tarati sia nel pointer più alta che nelle altre razze, ma è che col pointer questo è uno dei difetti che ricorre più spesso. Altro elemento talvolta carente nel “fermatore” d’oltre Manica è il discernimento, quella dote cioè che consente, al cane da ferma, di distinguere le emanazioni derivanti da selvatico presente da quelle, invece, che originano da tracce o piume o fatte o spolverelli. Sicchè capita che il pointer arresti a vuoto, e insista nella inutile segnalazione, proprio perché il suo olfatto, del resto finissimo per necessità di stile, comanda con talvolta eccessivo rigore le sue facoltà intellettuali.
Ancora dal carattere, eccessivamente indomito, è dato un altro ricorrente difetto della razza: l’eccessiva indipendenza da chi la guida, sicchè capita, e qui più spesso, di avere a che fare con cani eccessivamente indipendenti, esiziali per certe cacce specifiche, come ad esempio le beccacce, od anche le stame e le coturnici, se si vuole, animali per i quali se il collegamento non è richiesto in maniera così stretta come per la regina del bosco, sicuramente si sa che non è possibile affrontare colline di stoppie o versanti montani berciando a squarciagola (e, tra l’al’ro, inutilmente) per tenere nei pressi un cane furibondo. Nello stile, e non nella funzione, è più facile avere oggi pointer carenti, dato che le diverse immissioni hanno diluito le originarie caratteristiche dei primi ceppi francesi o dei vecchi cani italiani. Sicchè non è frequente vedere strappate serie in guidata, ed il galoppo tende ad essere, più che quest’ultimo può essere meno in stile, ma è più razionale dal punto di vista meccanico. Quello che invece è veramente difficile da trovare è il pointer che non ferma, che ha poco naso o scarsa passione.
una razza, questa, che da questi punti di vista è veramente, ormai, una assoluta garanzia, nei limiti in cui può esserlo una popolazione animale, che ha, ovviamente, pur sempre le sue biologiche varianze. Quando riporta, e lo fa molto più spesso di quanto comunemente si creda, è talvolta restio a farlo dagli sporchi spinosi, ma, se iniziato a questa prestazione in età giusta ed in maniera conveniente, può eccellere solo di quando in quando denotando dente un p0’ duro, e che deriva da una passione eccessiva.
A chi si addice – Al vero sportivo, al cacciatore che, pur andando in campagna per raccogliere un carniere, non ne stabilisce il valore dal peso o dalle teste, ma dal modo con il quale i selvatici che lo compongono sono stati acquisiti dal cane che l’accompagna. Il padre del pointer, l’inglese William Arkwright, che dalla razza scrisse un incomparabile testo, affermava infatti che «noi andiamo a caccia con i nostri cani per divertirci; la loro bella cerca con la testa alta e la coda vivace disperderà come per incanto la nostra fatica su più di un angolo del terreno…» e che di conseguenza «le attitudini così varie ed istantanee di un cane veloce compensano ampiamente qualche dimenticanza casuale ed inevitabile; esse procurano al vero e ardente cacciatore uno spettacolo magnifico, quale non sarebbe offerto mai dalla vista di cento ferme prese da un animale che trotterella in modo ordinario». Ma non è vero che il pointer sia solo spettacolo, in quanto deve ancora nascere una razza che abbia il suo rendimento non solo nei terreni ampi delle stame in collina, o sulle pendici montane a coturnici (ambienti entrambi, dove, specialmente nei primi torridi momenti della stagione di caccia, il suo atletismo e la sua resistenza alla fatica ed al caldo offrono rendimento assoluti), ma anche dove,come nel bosco a beccacce, o in palude a beccaccini( meglio ancora in marcia o in risaia), non sembra essere a priori a suo agio, il pointer dimostra, con la caccia cacciata e col favore che incontra, di essere, anche lì, un grandissimo cane.
Quindi non va a colui che intende avere l’ausiliare sempre a portata di schioppo, e esplorare con quello ogni più piccolo ambiente, per estrarne tutti i possibili selvatici, perchè non si presta, a questo atleta dai mezzi eccezionali, un lavoro da certosino. Il pointer, per essere tale, ha bisogno di spazio, di selvatico intervallato, anche in ambiente difficile, se si vuole, come ad esempio è quello della beccaccia, e può adattarsi anche, talvolta, ad una emanazione contenuta, come quella ad esempio della quaglia, ma deve avere il modo di applicare al suo lavoro tutta la passione, l’olfatto, l’intelligenza aperta di cui è dotato. Solo allora darà tutto quanto la natura e la selezione dell’uomo, in diversi secoli, ha accumulato in lui. Il pointer, insomma, va capito ed amato, prima di essere “usato”.
Dressaggio – Addestrare il pointer significa tener conto delle sue specifiche prerogative di razza, in un senso e nell’altro. Il dressaggio deve avere come presupposto il fatto che si ha a disposizione una macchina perfetta, capace quindi di svolgere ogni mansione necessaria a caccia, ma che, proprio per questa sua perfezione, presenta non delle debolezze, ma delle necessità, maggiori queste rispetto a quelle delle altre razze, come maggiori sono le qualità del pointer. Un errore comune nell’addestrare il pointer è quello di non condurlo in campagna che ad un anno di età, od anche oltre, e questo, oltre a non sollecitare certe reazioni (ferma ad esempio) a tempo giusto. accumula anche nel cane una avidità repressa, che lo porterà, al momento di iniziare l’addestramento, a sfogare tutto questo potenziale accumulato e ad avere, perciò un individuo assai poco controllabile, e spesso avido solo di galoppare a più non posso. Chi ha da istruire un pointer deve perciò iniziare le esperienze concrete sul selvatico ed in campagna, in compagnia del suo cane, non dopo che questo ha superato i sei mesi.
Altra questione importante è di usare, per le necessarie correzioni, dei mezzi che siano misurati alla sensibilità del cane, che è in genere elevata. Interventi troppo forti, che per di più vengano anche non compresi dal cane, proprio in quanto eccessivi, deprimono eccessivamente l’azione del sensibile animale e ne diminuiscono drasticamente il rendimento, ne frustano l’entusiasmo, ne fanno, insomma, non un collaboratore, ma un succube. Altro errore comune col pointer è pretendere che svolga la sua azione nei pressi, a tiro di schioppo dal cacciatore, quasi che fosse, più che un cane da ferma, uno spaniel. Col pointer, invece, c’è bisogno di spazio, e cioè di iniziativa, c’è bisogno perché renda a caccia, che chi Io usa Io metta in condizioni di evidenziare tutte le sue possibilità di rendimento, senza in alcun modo tarpargli le ali. Quindi a tutti si addice il pointer, tranne forse a chi caccia in località con i selvatico eccessivamente fitto (fagiani, molti fagiani, insomma). È questo l’unico caso in cui la razza è decisamente sconsigliabile, nell’interesse del cacciatore, ma, anche e soprattutto nell’interesse del pointer.
La scelta – Nel caso in cui si debba scegliere un cucciolo occorre dare la preferenza a quelli che, pur risultando già tipicizzati (stop evidente, occhio ben piazzato, orecchio sobrio, labbro rotondo, m non eccessivamente pendulo, tartufo già con l’aria di voler guardare in su), non presentano caratteri eccessivi: saranno troppo pesanti. Il cucciolo pointer è uno di quelli non difficili a scegliere, perché la sua caratterizzazione è così forte (basti pensare allo stop) da distinguere immediatamente quelli che la possiedono da quelli invece che ne sono privi. Ma proprio per questo è facile, anche, prendere un cucciolo che da adulto sarà grossolano, per un cane tipico, ritrovandosi poi, a due anni di età, non con un pointer, ma con un boxer dalla coda lunga. Occorre, ovviamente, che sia vivace il cucciolo, come per tutte le razze del resto, ma il cucciolo pointer lo ia in modo particolare, e dia l’impressione, con un pezzo di formaggio, di carne, o cose del genere (gettatogli a portata di fiuto, ma disposto in modo da non poter essere scorto) di adoperare di già il naso e di essere sensibile agli stimoli olfattivi. Sono più di quanti non si creda i cuccioli pointer che fermano una quaglia messa sull’erba, anche a due o tre mesi di età, e taluni lo fanno con uno scatto da fare invidia ai migliori adulti.
Che non si dia importanza al colore delle macchie ed alla loro disposizione, in omaggio ai caratteri morfologici tipici della razza è molto giusto, ma al pigmento delle mucose ed al colore degli occhi è bene importanza darne, perché questo degli indi e delle mucose chiare è uno di quei difetti che tolgono espressione alla razza, che è una delle cose più belle che c’è. Anche l’ossatura è importante nel cucciolo, e perciò deve essere sobria, diritta, robusta. Certi scheletrini da gatto non sono da pointer (frequenti nei neri unicolore e in diverse famiglie di bianco arancio) come non lo sono alcune strutture spongiose, con diametri trasversi delle ossa chiaramente eccessivi. Il pointer deve galoppare velocemente e per ore, andando a caccia, ed uno scheletro adatto, pur non essendo mai una condizione sufficiente, talvolta può diventare una condizione necessaria, se supera certi limiti di impostazione.
La coda è un altro aspetto di primo giudizio nel cucciolo. «Il pointer lo è dalla testa, ma chi lo conosce davvero gli guarda prima la coda» fu uno dei più sorprendenti dettati di un grandissimo conoscitore della razza. Ed è certissimo, perché una coda distinta, gradatamente assottigliantisi, e ben portata, è una carta d’identità pressochè infallibile di una sicura distinzione, e di una selezione seria, competente, prolungata. Questi caratteri sono abbastanza evidenti nel cucciolo. Talvolta i cuccioli pointer, come anche quelli dei cugini setter, del resto, hanno delle ernie ombelicali od inguinali, la cui origine non è ancora ben chiarita. In altre razze (collie da esposizione, cocker spaniel, bull terrier) il difetto dell’ernia ombellicale venne attribuite alla attività di geni recessivi multipli, mentre l’ernia inguinale venne riscontrata in una corrente di sangue di basenji che venne fatta riprodurre a lungo in cattività. Si tratta di difetti relativamente leggeri, che spesso il cane è in grado di sopportare anche da adulto, e che, se si vuole, possono essere eliminati con una operazione che qualsiasi veterinario è in grado di fare con rapidità. E comunque bene, quando si sceglie un cucciolo pointer, dare un’occhiata alla pancia e scartare quelli che presentano un rigonfiamento alla altezza dell’ombelico o dell’inguine: si tratta infatti, quasi sempre, di un’ernia.
Sul cucciolone pointer occorre, se lo si vuole scegliere e non prendere a caso, operare un esame ancora più profondo di quello che ci vuole per il cucciolo. E la precedenza deve essere per il carattere; proprio perché nel cucciolone, al contrario di quanto accade per il cucciolo, il carattere è già bene evidente. Dunque il cucciolone pointer deve camminare spavaldamente al guinzaglio, tirando se possibile, non avere alcun timore delle persone che gli si avvicinano, né dei rumori improvvisi (basta battere le mani), sentiti i quali deve al massimo sussultare, per tranquillizzarsi immediatamente quando si accorge di cosa si tratta; ma non deve mai mostrare il benché minimo segno di autentica paura, e se lo fa deve essere, purtroppo, non scelto, anche se avesse la testa più bella del mondo.
Un’occhiata agli appiombi non basta, ed anche lo sterno (che di quando in quando si presenta carenato) va considerato con una particolare attenzione. Non si può certo pretendere che un pointer di sei mesi sia già in possesso di un torace molto disceso o di un posteriore già fasciato di muscoli compatti, ma uno scheletro armonico, un garrese bene elevato, due scapole con le punte ravvicinate, sono ben rilevabili anche a quell’età, sicché è bene osservare se queste qualità ci sono dato che non si tratta di caratteri estetici, ma di elementi di costruzioni che hanno un riflesso diretto sulla meccanica dell’animale. Opportuna considerazione deve avere il posteriore, le cui angolazioni devono essere piuttosto aperte, ma non troppo, ed il metatarso, in particolare, deve essere ben perpendicolare al terreno, senza sporgersi né in avanti né indietro. Una inclinazione in avanti indica infatti un eccesso di apertura e, di conseguenza, una rilassatezza dei tendini, mentre una posizione inclinata all’indietro indica una minore possibilità di apertura durante la spinta per il galoppo, e quindi una minore efficienza meccanica.
Ai fini della efficienza è anche molto importante la spalla, che nel pointer deve essere lunga, inclinata tra 45° e 55° rispetto alla linea orizzontale, libera nei movimenti e ben dotata di muscoli lunghi e nettamente divisi gli uni dagli altri. Una spalla corta, riduce l’ampiezza della sgambata e quindi l’efficienza del galoppo, mentre una spalla dritta consente una maggiore velocità, ma affatica moltissimo l’animale.