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Due sguardi, quello di un poeta votato alla caccia e quello di un cacciatore condannato alla poesia, si passano il testimone nell’osservare la magia, il senso e la verità della passione venatoria. Sguardo avido, quello di Piersanti, rapace di visioni, sensibile a ogni forma di oggettualità, che esplora l’universo della campagna alla ricerca dei segni pulsionali della propria storia, delle amorevoli presenze del proprio romanzo familiare. Sguardo maniacale e gioioso, quello di Aromatico, di una gioia altrettanto instancabile e tesa, che giunge all’apice del desiderio corteggiando le vie della memoria e dell’appartenenza a un mito rurale perduto e sempre ritrovato. Il loro mondo è là, nell’Appennino centroitaliano, nei paesaggi che dal Montefeltro e dall’Urbinate conducono alle sponde dell’Adriatico senza mai, con questo mare, unirsi e confondersi. Nei boschi montani di Bocca Trabaria, al passo dei tordi, tra accensioni di rosso ottobrino e spari che scuotono il cielo, e poi giù verso il piano, tra radure e paduli, dove i beccacciai si ostinano a celebrare il culto di una Regina misteriosa e distante. E c’è un impeto morale nel loro discorso, che si declina nei termini ora di amaro risentimento, ora di elegiaco rimpianto, ora di perentoria affermazione di certezze, quelle poche ed essenziali del cacciatore, bastevoli a indicare il significato di una vita, a chiudere l’eterna, triangolare dialettica del gioco venatorio: amore, predazione, morte e ancora amore. A restituire il senso di una cultura e di una verità da riaffermare. Non solo con le parole. |
La necessità di acquisire un livello di conoscenza sempre maggiore attraverso la raccolta di dati e informazioni utili è diventato un elemento imprescindibile per la gestione del patrimonio avifaunistico del Paleartico Occidentale. A tal riguardo è stato pubblicato questo lavoro...
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