Anche gli animali che infestano le nostre città sono diventati ormai una questione politica. Nessuno vuole prendersi la responsabilità di risolvere il problema alla radice, abbattendoli fino a riportarli sotto una soglia di contenimento, perché così facendo si perderebbero i voti degli animalisti». Matteo D’Errico è nel mondo della falconeria dal 1991. Nel 2004 con sua moglie, Simona Antonaci, ha fondato ad Aradeo (in provincia di Lecce) la Falcon Farm, azienda specializzata nei servizi di allontanamento dei volatili molesti (bird control), che oggi lavora in tutta Italia con appalti pubblici, ma soprattutto commesse private. «Se manca il predatore, aumenta la preda». È questa la regola aurea dalla quale parte D’Errico per spiegare l’invasione nelle nostre città di piccioni, gabbiani, storni, cinghiali e volpi.
Esiste una specie che è impossibile «contenere»?
«No, non esiste. Bisogna solo avere la volontà di farlo, anche a costo di provocare dissenso e proteste. Questo coraggio manca quasi sempre alle amministrazioni, che temono di perdere il consenso elettorale. C’è una sorta di terrore animalista».
Qual è il quadro normativo entro cui si può operare?
«La cosiddetta legge sulla caccia (n.157/1992) prevede all’articolo 19 che le Regioni possono autorizzare piani di abbattimento, per esempio per motivi sanitari, per la tutela del patrimonio storico-artistico o delle produzioni agro-forestali e ittiche. Solo che le Regioni si comportano in modo diverso: alcune sono interventiste; altre adottano provvedimenti blandi, giusto per tamponare; altre ancora sono “intoccabili”, come la Toscana, dove non siamo riusciti a entrare per ragioni politiche. Ci sono amministrazioni che temono di finire in causa con le associazioni animaliste e quindi aspettano che ci sia qualcun altro a fare da apripista».
Come si interviene sui piccioni?
«Per prima cosa si fa un censimento, per avere un quadro completo dell’infestazione e stabilire quale tecnica sia più adatta a risolvere il problema. Si possono montare punte o sistemi di elettrificazione, ma la soluzione più efficace e duratura è catturare e abbattere. Noi lavoriamo per Grandi stazioni spa, la società che gestisce le 14 maggiori stazioni italiane, molto spesso infestate dai piccioni. In quella di Napoli (alcuni anni fa) e in quella di Bologna (ancora ora) li abbiamo catturati con delle reti-trappola e poi li abbiamo soppressi con delle camere a gas: si mettono alcuni colombi in un contenitore metallico e poi si immette all’interno dell’anidride carbonica in basse percentuali, per stordirli e farli addormentare, e poi si aumenta la percentuale per ucciderli. È tutto controllato dalla Asl. D’altronde questo è lo stesso metodo usato per uccidere i polli: un gas inerte come l’anidride carbonica non rovina infatti le carni. Le carcasse dei piccioni vengono smaltite e incenerite da un’altra ditta».
E nelle altre stazioni?
«A Firenze non abbiamo potuto usare questo metodo (pur essendo gestita sempre da Grandi stazioni), perché la Regione non lo consente. A Termini e Tiburtina 4 anni fa ci hanno chiesto un intervento più soft, che però non è stato risolutivo: con l’aiuto della falconeria abbiamo catturato i piccioni e li abbiamo messi nelle voliere. Anche nella stazione di Milano centrale usiamo delle poiane, note anche come falchi di Harris, che inseguono i piccioni ma non li uccidono; li scacciano fuori dalla stazione».
C’è anche un problema sanitario?
«Certo. I piccioni sono portatori di circa 60 malattie trasmissibili all’uomo e agli altri animali. Ora si parla tanto di tamponi… inviterei a farne uno su un tavolino di piazza San Marco a Venezia per verificare la carica batterica. Dovremmo essere più sensibili a questo tema, dopo che il Covid ha bloccato il mondo».
Il Comune di Roma vi ha mai contattato?
«Sì, nel novembre 2018 l’assessorato all’Ambiente della giunta Raggi ci chiese un incontro “urgentissimo” per fronteggiare il problema degli storni che- a detta lorocreava “gravi ripercussioni sul decoro, la salute e la viabilità delle strade di Roma”, specie nella piazza antistante il Quirinale. Ci eravamo resi disponibili ma poi non ci hanno più richiamato per il sopralluogo».
Oltre agli storni, a Roma c’è il problema dei gabbiani che hanno nidificato in centro.
«Contenerli è semplice: basta addestrare un falco più grosso che sorvoli le aree che hanno colonizzato. Quella con il falco è una guerra che il gabbiano non può vincere. All’aeroporto di Brindisi, in 4 anni di falconeria spinta, abbiamo fatto spostare una colonia di 15mila gabbiani: 16 di loro erano stati risucchiati dai motori degli aerei e li avevano distrutti. A Roma andrebbe fatto prima un censimento, poi vanno individuati i punti in cui si foraggiano (come discariche, cassonetti) e poi va divisa la città per quartieri e zone d’azione».
Quanto costa un falco?
«Costa 1.000 euro, ma se addestrato per 3 anni a vivere in città il suo valore sale fino a 10mila euro».
Il cinghiale è un’altra specie che infesta la Capitale.
«La situazione a Roma è sfuggita di mano. Una squadra di cacciatori potrebbe procedere con battute di cattura veloci, usando reti chilometriche, senza però rimettere gli animali in natura: vanno abbattuti. L’uomo sta andando su Marte e non può uccidere piccioni e cinghiali? Serve la volontà politica e le risorse economiche, considerando anche quanto ci costano i danni causati da queste specie».
Il politicamente corretto però non vale per altri animali?
«A quanto pare no. Gli scarafaggi e le zanzare possono essere avvelenate, i topi uccisi anche con la colla, in vendita ovunque. Se sei brutto e piccolo non hai diritti, se invece sei piumoso ce li hai. Se nasci cinghiale puoi diventare addirittura un animale da compagnia. È una questione di fortuna. Paradossalmente lo scarafaggio è un insetto pulito, il piccione invece può trasmettere ai nostri rapaci malattie in grado di ucciderli (Fonte: Il Tempo).