Questa volta il dito lo ficco nell’occhio di tutti quei sindaci che nei tempi passati, irretiti dalle promesse di costituendi parchi, hanno detto di sì.
di Bruno Modugno
Sete di poltrone, speranza -anche in buona fede- di ottenere vantaggi, come sovvenzioni per centri visite, strade, strutture, incremento del turismo naturalistico o per lo meno l’attenzione dei giornali e di quelli che contano nella grande abboffata di natura della quale si riempiono tutti la bocca senza aver mai visto nascere o morire il porco di casa. Poi si sono trovati il nemico nel letto. Le “guardie del cardinale” avevano accesso dappertutto, sindacavano l’apertura di una finestrella, la costruzione di una porcilaia, il cambio non previsto di una coltura.
Non parliamo di aprire una pista di sci, che (quella sì!) avrebbe portato turismo, o di costruire qualcosa non garbasse al nuovo re che si era installato sul territorio. Il quale si credeva onnipotente, tracciava la lista dei buoni e dei cattivi, usava il denaro pubblico per assumere chiunque volesse, fuori delle regole, attirando soltanto qualche volta l’attenzione di distratte Procure. In realtà dovrei avere 4166 dita da infilare almeno in un occhio degli altrettanti sindaci che hanno chiesto (o hanno lasciato) che i loro comuni – più della metà dei comuni d’Italia -fossero inclusi in parchi o aree protette.
Io ho vissuto la tragedia di Bracciano, inserita nel Parco Bracciano-Martignano che ha distrutto proprietà secolari, ricchezza faunistica e biodiversità, incrementando il bracconaggio, mentre i fiammanti fuoristrada del servizio parchi si pavoneggiano tronfi davanti ai caffè delle cittadine che si affacciano sul lago. Pensavamo che fosse una moda di sinistra e quando all’orizzonte apparve la candidatura di Storace, tutti a porgergli la mano. La Regione divenne nera, da rossa che era, ma il parco c’è ancora. Dov’è il sindaco di allora, ché gli voglio ficcare un dito nell’occhio? L’Italia, che alla fine degli anni ’70, al tempo dei grandi referendum contro la caccia, era la maglia nera d’Europa, oggi è in testa per superficie protetta: circa il 22% del territorio nazionale, tra parchi nazionali, regionali, riserve, oasi, SIP e ZPC.
In più ci sono le città, le strade, gli aeroporti, le zone militari, le zone industriali, le superfici d’acqua. Cosa resta a noi per cacciare? Vogliono abolire la caccia? Non ce l’hanno fatta con 24 referendum nazionali o regionali?. Ora ci provano complicando l’acquisto e la detenzione delle armi, diminuendo specie e periodi, togliendo altro territorio ai cacciatori. Ecco perché c’è ancora chi parla di parchi, anche se oggi la situazione ambientale e faunistica è ottima: abbiamo il più alto tasso di biodiversità d’Europa con 5 mila 600 specie vegetali e 57 mila specie animali, praticamente il 30 per cento di quanto esiste in Europa, ma in una superficie pari alla trentesima parte del nostro continente.
Grazie alla caccia di gestione abbiamo una popolazione di ungulati da fare invidia alle più ricche regioni d’Europa, Balcani, Francia, Spagna, Regno Unito, Austria e Germania. Abbiamo rivisto le oche. Sono tornate abbondanti le alzavole e le marzaiole. E stiamo parlando ancora di creare nuovi parchi? Mancano i soldi per gestire e far funzionare i grandi parchi nazionali, e cito il Parco del Gran Paradiso, il Parco d’Abruzzo, Il parco del Pollino, e vogliamo ancora creare a spese dei cittadini delle altre inutili, deleterie, costose, clientelari, nuove zone di potere? La legge stabilisce che oggi un parco si possa costruire solo con il consenso dei sindaci. Bene, i sindaci della zona dei Monti Ernici non vogliono il dito nell’occhio e hanno detto no. E ancora se ne parla? Ancora c’è lotta? Ancora si discute? Ma non è sovrano il sindaco?
Anche su questo argomento si è spaccato il PD. C’è una minoranza legata agli interessi di animalisti e ambientalisti e l’altra che guarda all’interesse delle popolazioni. Ho detto qualcosa che non dovevo? Che escano allo scoperto, allora, e ci facciano capire.
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