Il Covid dimezza le giornate venatorie e le doppiette bresciane chiudono una stagione da dimenticare. Le ultime cartucce sparate domenica chiudono un anno che vede i cacciatori nostrani scendere sotto la soglia psicologica dei 20 mila, e tra molti abbandoni e qualche nuovo ingresso Federcaccia registra un consuntivo intorno alle 19 mila unità. Tutta un’altra storia rispetto ai tempi passati. Ora la caccia si sente stretta tra controlli «non sempre fatti nei modi dovuti» come dice il presidente provinciale Marco Bruni, e un’antica abitudine a non rispettare le regole da parte degli stessi seguaci di Diana.
Per i dati sui verbali elevati dalle guardie venatorie della Polizia provinciale in dicembre e gennaio il comandante Claudio Porretti rimanda alle prossime settimane. Anche perché diversi procedimenti sono ancora in corso. Il consigliere delegato alla materia Guido Galperti, per parte sua, ricorderà l’anno per le «continue informative sui passaggi dei Dpcm», e anche per il «positivo approccio» alla gestione dei piani di abbattimento nei comprensori alpini, «purtroppo chiusi in anticipo dalle abbondanti nevicate, oltre che dal Covid». MA UN QUADRO abbastanza definito viene da Bruni, a partire dal fenomeno degli abbandoni che ormai va avanti da anni. «Abbiamo fatto un po’ di corsi a distanza e qualche nuovo ingresso c’è stato – riassume – ma il saldo è negativo di circa mille unità». La causa principale è attribuita alla pandemia che ha fatto perdere tutto il mese di novembre.
Ai primi di dicembre la delibera del governatore Attilio Fontana ha permesso ai cacciatori di varcare i confini del proprio comune anche in zona arancione. E si è andati avanti fino al cambio di colore in rosso. A conti fatti, «gran parte dei nostri associati – dice Bruni – è riuscita a sfruttare solo la metà del calendario, e la stagione è risultata gravemente compromessa». Con la conseguenza che molti hanno deciso di appendere la doppietta al chiodo in via definitiva. Ma per il presidente di Federcaccia non è l’unica causa della rinuncia. Ci sono pure i ricorrenti atti vandalici contro gli appostamenti fissi e i controlli a volte troppo puntigliosi. «L’ultima azione contro i capanni c’è stata la settimana scorsa in Franciacorta – sottolinea Bruni – e abbiamo scritto alla Procura della Repubblica anche per chiedere di accorpare i casi sotto un unico Pm perché ci sono i presupposti per un minimo di indagine».
Poi la questione controlli, che tuttavia non suona a giustificazione delle doppiette che non rispettano le regole. «Il nostro impegno prioritario è far capire che la caccia non è un diritto ma una concessione esercitata su una fauna selvatica che è patrimonio disponibile dello Stato – sottolinea -, e l’unico strumento per vivere una stagione venatoria serena è il rispetto della legalità». E però Bruni non ha visto corrispondenza dall’altra parte, in particolare sulle misure degli anelli per gli uccelli da richiamo, su cui quest’anno si sono concentrati i controlli. «Ho visto verbali in cui è stata contestata la discrepanza di due decimi di millimetro – dice -, su anelli di alluminio rotondi che si ovalizzano facilmente e sono sottoposti a usura continua». Tra l’altro, «non sappiamo se le misurazioni vengono effettuale con calibri certificati – aggiunge – e la cosa sta creando molto rumore. Alla fine si mette a rischio l’appostamento fisso con richiami vini, che è la caccia davvero tradizionale a Brescia» (Brescia Oggi).