Il Dottor Michele Sorrenti, coordinatore dell’Ufficio studi e ricerche Federcaccia, risponde alle dichiarazioni del tutto erronee sull’Ibis Sacro apparse sul “Resto del Carlino”. Abbiamo letto con un po’ di sconcerto gli articoli a firma di Tommaso Moretto pubblicati sul “Resto del Carlino”, edizione di Rovigo, del 14 dicembre 2020, riguardanti gli avvistamenti di ibis sacro (Threskiornis aethiopicus) nell’area del Polesine rodigino. Diversamente da quanto affermato sia da Eddi Boschetti che da Luciano Marangoni della LIPU di Rovigo, non esiste alcun dubbio sull’origine degli ibis sacri, oggi purtroppo diffusissimi in tutto il Nord Italia: sono esemplari fuggiti dalla cattività e riprodottisi in modo incontrollato.
Il forte aumento di questi esemplari è causa di effetti negativi sulle popolazioni autoctone di ardeidi a causa della competizione per i siti riproduttivi, oltre che sulle aree di alimentazione, in cui ha anche l’effetto di allontanare altre specie più importanti per la conservazione. È stata inoltre documentata l’ibridazione di un esemplare di ibis con una spatola (Platalea leucorodia), specie quest’ultima autoctona e presente naturalmente in Italia. La Commissione Europea ha infatti inserito l’ibis sacro fra le specie che gli Stati membri UE devono eradicare da territorio, poiché considerate “aliene invasive”.
Per adempiere questo obbligo europeo l’ISPRA ha predisposto la bozza del Piano di Gestione su questa specie, che prevede gli abbattimenti al fine di eradicazione dal territorio italiano. Una realtà del tutto diversa da quella proposta dai rappresentanti LIPU, che mentre invocano le disposizioni europee quando intendono limitare la caccia, se ne dimenticano laddove prevedono interventi di eradicazione di specie alloctone. Un’altra dimostrazione di approccio emotivo alla fauna, del tutto distante dai principi della gestione conservativa delle specie selvatiche.