L’ultima decisione della prima sezione del Tribunale Amministrativo Regionale di Palermo rappresenta un precedente di un certo peso per quel che riguarda le licenze di caccia e il porto d’armi in generale. Secondo quanto stabiliti dai giudici, infatti, non basta avere dei parenti che sono finiti in manette con accuse legate alla mafia per negare il porto di fucile. In particolare, la Questura e la Prefettura di Agrigento avevano rigettato la richiesta di rinnovare il documento per svolgere attività venatoria dopo aver riscontrato la presenza di parentele non proprio immacolate.
La moglie dell’uomo che si è visto negare il rinnovo è cugina di tre persone arrestate per associazione mafiosa ed estorsione aggravata. Il TAR palermitano ha accolto al 100% il ricorso del cacciatore.
Come ha commentato l’avvocato di questa persona: “La sola sussistenza di un rapporto di parentela tra la moglie e alcuni suoi cugini pregiudicati, ove non corroborata da ulteriori elementi oggettivi e sintomatici circa la mancanza di affidabilità nell’uso delle armi in capo al ricorrente non può legittimamente giustificare il diniego opposto dalla Prefettura alla richiesta di rinnovo di licenza di porto d’armi e, per tali motivi, il Tar Sicilia ha accolto il ricorso”.