Il passato di militanza nel Veneto Fronte Skinhead ha precluso a un imprenditore il rinnovo del porto di fucile a uso venatorio da parte della Questura di Pordenone. Ora il caso è approdato al Consiglio di Stato, dopo che il Tar ha bocciato il ricorso dall’imprenditore. I giudici d’appello non hanno concesso la sospensione dell’efficacia della sentenza del Tar, in attesa della discussione nel merito, ancora da fissare. La Questura ha motivato il diniego del porto di fucile all’imprenditore in relazione ai procedimenti, anche penali, in cui è incorso fra il 1992 al 2002 (gli è stato inflitto anche un daspo) e alla militanza attiva nel Fronte Veneto Skinhead, «movimento di estrema destra, caratterizzato da evidenti connotazioni antisemite e razziali».
Il cacciatore era in possesso della licenza dal 2002, rinnovata da piazzale Palatucci finché, il 16 settembre 2020, un decreto del questore non ha rigettato la richiesta. In un rapporto del 2 luglio 2020 trasmesso in Questura i carabinieri hanno specificato che «successivamente alla commissione di tali fatti (dal 1992 al 2012) l’interessato ha sempre mantenuto un comportamento regolare e rispettoso senza mai dare adito a rimarchi di sorta; pertanto allo stato attuale non si è a conoscenza di condizioni ostative al rinnovo del titolo di polizia in questione».
L’avvocato Paolo Viezzi, legale del cacciatore, ha evidenziato come il suo assistito abbia ormai da quasi un ventennio preso le distanze dal Fronte Veneto Skinhead e sia stato assolto dai processi, legati alla sua vicinanza in gioventù al movimento, in quanto estraneo ai fatti contestati (ipotesi di vandalismi connesse ad alcune riunioni del circolo). Viezzi ha aggiunto poi come dopo il 2012 la partecipazione del suo assistito al funerale di un militante del Fronte e a un evento musicale a Pordenone (per il quale era necessaria l’iscrizione al circolo) siano stati considerati come ulteriore elemento di persistente contiguità al movimento di estrema destra. «Il giudizio di inaffidabilità è stato smentito dai fatti: si è sempre comportato in modo ineccepibile», ha obiettato.
A suo tempo il Tar, adito dal cacciatore, ha dato ragione alla Questura, rigettando il ricorso. I giudici di prima istanza hanno osservato che la valutazione in materia di porto d’armi è discrezionale e che prevale l’incolumità pubblica rispetto all’interesse privato. Quanto ai precedenti rinnovi della licenza concessi, il Tar ha osservato che «non può sussistere il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà con altri atti qualora questi si configurino, come nella specie, eccessivamente indulgenti e irragionevoli, in quanto non si può pretendere che l’amministrazione continui a perseverare nel medesimo errore» (Messaggero Veneto).