Così ad esempio in Germania, si dette sacralità venatoria ad alcune funzioni del cane, estranee alla sua prima natura, come ad esempio l’aggressività verso i nocivi, nel concetto evidente che il cane, prima di essere un qualche cosa che consentisse carnieri più ricchi, doveva rappresentare un mezzo per aumentare la consistenza faunistica dell’area di caccia, collaborando quindi per la riduzione dei predatori. Guardia al carniere, recupero di ungulati feriti anche a distanze lunghissime, lavoro su traccia, furono pretesi dai pragmatici cacciatori mitteleuropei già molto tempo fa.
E in mezzo a tutta questa roba, che aveva oltretutto lo scopo indiretto di limitare i carnieri, e perciò di rendere meno perniciosa la caccia, e conseguentemente di consentire al territorio venatorio una maggiore capacità di soddisfare le richieste degli armati, in mezzo a tutta questa roba, si diceva, troneggiò sovrano il riporto del selvatico, fosse questo di penna o di pelo, dall’acqua, dalla terra o dal folto, vivo, ferito o moribondo, condito, insomma, in tutte le salse che c’erano. E non c’è niente di più infondato del pensare che questa del rintracciare ad ogni costo il capo di selvaggina che in qualche modo fosse stato raggiunto dal piombo fosse una isolata fisima dei baffuti teutonici, vestiti di loden, e armati di drilling. Nella Gran Bretagna, infatti, prima che incolti interpreti nostrani disegnassero fantasie sui modi di cacciare di quella gente, si pretendeva riporto da Pointer e Setter. La funzione riporto, innata nel cane, non può essere quindi prerogativa esclusiva di un ristretto numero di razze fermatrici, ma è patrimonio comune, sia pure in diversa misura e frequenza, di tutte quelle che ora si allevano con differenze di esclusivo ambito individuale. Già da noi, specialmente tra i tradizionalisti utilizzatori del cane da ferma, il riporto, come prestazione venatoria, era preteso indispensabile da chi portava a spasso la doppietta con serio intento di riempire il carniere, e ben pochi erano quelli che rinunciavano ad avere questo servizio, dal cane, qualsiasi fosse il suo nome, qualunque colore avesse il suo pelo. Era, ricordo bene, la primissima mansione che si chiedeva al cucciolo, convincendolo a interessarsi all’esercizio per il momento fittizio, in previsione di più concreti cimenti. Restava però il problema, non sempre facile, di impartire questo insegnamento al cucciolo, in maniera convincente, razionale, non alienante. In molti testi, a cominciare da quello del Delfino, storico ed insostituibile, erano descritti metodi di insegnamento del riporto, con dettagli più o meno precisi, descrizioni più o meno prolisse, effetti più o meno sicuri. Io per primo, avendo bisogno di ricostruire il riporto ad una kurzhaar fagocitatrice casuale di un fagiano (femmina, e cominciando dall’ala) in gara, usai quanto la consultazione di un testo classico mi aveva insegnato, e con esito brillantissimo, tanto è vero che in tre giorni quella cagna tornò a posto e si aggiudicò, consecutivamente, una serie di successi in prove di caccia. Ma ora, Vincenzo Celano, scrittore sagace e attento osservatore di cani e selvatici, ha preparato una sorpresa per chi, e siamo in tanti, ha bisogno, senza perdere moltissimo fosforo in complicate letture, di addestrare il suo cane al riporto, in maniera efficace. «Guida rapida di addestramento al riporto» (Ed. Olimpia) parte dal concetto, che è spesso la condizione reale, anche se non è sempre la più conveniente, di avere un cucciolone (guarda caso, setter inglese) da dover addestrare a portare, e, cominciando dal terrazzino di casa e con una palla da tennis, arriva al riporto dall’acqua, a quello di più selvatici, e al recupero, passando anche, ovviamente, per tutti quegli accidenti che possono capitare strada facendo (rifiuto di abboccare il selvatico, dente duro, cincischiare, mangiare…) e vi consegna, se avrete la pazienza di seguirlo, un cane di riporto eccellente, che di questi tempi non è certo poca cosa. Ma, molto intelligentemente, Celano si è ben guardato dal descrivere a lungo i metodi e le norme di questo “training riportatorio”, limitandosi a marcare in poche pagine di testo, peraltro succosissimo, alcuni concetti base, da tenere presenti, per chi si accinge a leggerlo e adottarlo, il suo pratico manuale. Il grosso è infatti illustrato, con razionalissime successioni, da una serie di chiarissime foto, che se non esimono del tutto dalla completa lettura del testo, sono per lo più un invito a leggere anche il testo, oltreché osservare le immagini, che per loro conto sono già, per chi ha un cane da addestrare a riportare, già più che sufficienti. Oggi si va a caccia in aree antropizzate, di selvatici o artificiali (per i quali vale la pena parlare di riporto?) o veramente non soltanto naturali, ma laureati in autodifesa accanita, che non è il caso di perdere, una volta che si siano balisticamente raggiunti, per l’ignavia di un cane che non è altro, alla fine, che nostra inerzia nel momento in cui si doveva insegnare qualche cosa di serio.
Giornalista e fondatore di Caccia Passione. Correva l'anno 2002 quando diedi vita al portale internet, mettendo a frutto tre grandi passioni, quella in lettere moderne, l'altra per l'informatica e altresì per l'attività venatoria. Negli anni Caccia Passione è divenuto testata giornalistica ove oggi scrivono le migliori "Penne" giornalistiche d'Italia.
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