L’amico Fabio va alla ricerca dell’ultima novità come dei reperti storici che hanno illustrato il lavoro degli armaioli italiani dei decenni passati: il reperimento nella zona di Terni di una doppietta fine con il marchio di Umberto Gitti è stato un colpo fortunato. Cercando di scoprire la storia del fabbricante vediamo su una pubblicità l’indicazione relativa alla fondazione, il 1911, ma l’esemplare fotografato è già del secondo dopoguerra, specificatamente del 1967 riportando la punzonatura XXIII del Banco Nazionale di Prova.
L’azienda costruiva diversi modelli dal monocanna alle doppiette per coprire le fasce di mercato:un esemplare denominato Montecarlo si poneva al vertice della scala di valori. All’epoca la doppietta costituiva ancora l’ossatura importante delle vendite e ai cacciatori si affiancava una serie cospicua di tiratori al piccione con una passione indomita e un’attività sovente al limite del professionismo. A tale livello era logico scegliere un fucile dotato delle migliori prerogative, magari senza spendere un capitale come avrebbe richiesto una delle marche di più elevata caratura: citiamo a proposito la Franchi a cui, è chiaro, quest’arma di Umberto Gitti si ispira molto da vicino tanto da chiamarsi, e non a caso, Montecarlo.
L’impianto tecnico
La bascula in acciaio legato è stata lavorata di fresa e con le attrezzature peculiari dell’epoca, come ad esempio la stozzatrice per ricavare le mortise, e poi tanta manualità di classe elevata. Iniziamo osservando la tavola di media lunghezza con i due scassi sopra detti separati dal traversino integrale posto a filo e spigoli vivi, non taglienti, come nella migliore tradizione, grani porta percussori riportati e sostituibili con canalino di sfiato e vite di fissaggio, perno di rotazione in acciaio cementato fissato con le due classiche viti laterali a spacco finissimo, cerniera con le due leve di armamento e di comando degli eiettori automatici. L’attenzione ora si sposta sul gruppo canne dove i due tubi sono stati lavorati separatamente ricavando da ognuno il semipiano corrispondente con la sede interna per l’innesto del gruppo dei due tenoni: la giunzione dei tre elementi è avvenuta con saldatura racchiudendo all’interno i gambi dei due estrattori. I tenoni si presentano di congrue dimensioni e di qui si parte a esaminare il sistema di tenuta e chiusura: per prima cosa si apprezzano proprio sui tenoni le striature non solo sui fianchi, ma ugualmente nelle parti di spessore, indizio sicuro di una basculatura eseguita a regola d’arte, poi si considera la profondità degli scassi in cui si inserisce la slitta comandata dalla chiave insieme al tassello mobile posto nella faccia bascula con insistenza sul dente sporgente dalla culatta delle canne, che ha pure la funzione di guida per gli estrattori.
Si configura quindi una triplice chiusura composta dalla doppia Purdey e da una terza Purdey del 2° tipo: su quest’ultima notiamo come non sia presente l’effetto di inibire lo stacco fra culatta delle canne e faccia di bascula, come avviene con la terza Greener o la testa di bambola a profilo torico di Westley Richard, ma il punto più elevato di contrasto lucra un più favorevole braccio di leva nel mantenere aderenti la tavola e i piani, inoltre l’incavo in cui il tassello è inserito non crea soluzione di continuità nell’arco superiore della testa di bascula. Gli acciarini montati su piastre laterali sottendono una meccanica a doppia stanghetta di sicurezza simile a quella di Holland & Holland quindi dotata della barretta intercettatrice del cane che entra automaticamente in azione se non si è premuto il grilletto, impedendo così uno sparo fortuito per una caduta o un urto, insieme il congegno permette una fine regolazione del peso di scatto come dev’essere specie per un fucile da pedana.
Legni e finitura
Un noce di pregevole struttura e di gradevole aspetto è stato impiegato per le due parti della calciatura e le linee sfoggiano quel gusto italiano anche con l’impugnatura a pistola, un poco in contrasto con l’essenza di una doppietta, ma perfettamente consona alla finalità del tiro per cui questo fucile è stato costruito. Le incisioni sono di apprezzabile levatura così come altri particolari meno appariscenti pur se danno la misura dell’attenzione posta dal fabbricante: la bindella toilée con l’ombreggiatura ricavata a mano con lima di spigolo, l’interno dell’asta con il meccanismo a pompa e i martelletti sporgenti per gli eiettori automatici, il fine zigrino eseguito a mano, la verniciatura a tampone dei legni. Il fortunato possessore si cimenta sovente sulle pedane, solo al piattello ovviamente, e di quando in quando questa Gitti mostra di che pasta fossero alcuni costruttori degli Anni 50 e 60 anche nel registro dell’equilibratura generale come nella regolazione al tiro delle canne. L’azienda ha proseguito la sua attività fino agli inizi degli Anni 70 e pare verosimile, in mancanza di dati precisi, che abbia cessato l’attività nel ’72 o’73.