È dal 1974 – anche se la sua istituzione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite risale a 2 anni prima – che ogni anno il 5 giugno si celebra in tutto il mondo la Giornata dell’Ambiente. La frase scelta per identificare questa edizione e focalizzare l’attenzione generale su una maggiore cura e un maggior coinvolgimento in prima persona alla difesa dell’ambiente è “È il momento per la Natura”. Un modo per sensibilizzare tutti noi al rispetto per gli habitat e per la biodiversità rappresentata da tutte le forme di vita che questi ospitano.
Le cause principali di perdita di biodiversità, e quindi di perdita di specie e habitat naturali, sono legate alla distruzione, degrado e frammentazione degli ecosistemi da parte dell’uomo, all’inquinamento, al sovra-sfruttamento del suolo e delle risorse naturali, all’eccessivo uso di prodotti chimici in agricoltura e alle pratiche colturali intensive, ai cambiamenti climatici, alla crescita della popolazione, all’urbanizzazione, alla diffusione di specie esotiche invasive, sia vegetali, sia animali. Molti pensano o sono indotti a credere, magari confondendo fra ideologia e fatti, che anche la caccia sia colpevole di apportare danni irreparabili alla biodiversità.
Al contrario, la caccia ha un ruolo estremamente positivo per la tutela, la valorizzazione e il mantenimento degli habitat e delle specie selvatiche, e i cacciatori si dedicano con serietà e dedizione in questo impegno. Oltre all’attenzione che ogni cacciatore mette personalmente alla conservazione dell’ambiente che frequenta, nel nostro Paese attraverso gli Ambiti Territoriali di Caccia, quindi di fatto attraverso l’attività venatoria, viene gestito il 70% del territorio nazionale. Un’indagine condotta nel 2018 dall’Ufficio Studi e Ricerche di Federcaccia ha dimostrato con un limitato campione di 24 ATC, che erano state realizzate colture a perdere o mantenimento di stoppie di cereali o altre colture da seme in circa 1.000 ettari con una spesa di 400 mila euro.
E il 25% di questi investimenti è stato realizzato in aree collocate in zone a divieto di caccia. Ampliando il discorso a livello nazionale, il totale degli investimenti dei cacciatori negli habitat assomma ad alcuni milioni di euro per diverse migliaia di ettari. Tutto questo con spese a carico dei cacciatori e non degli Enti pubblici. Le colture a perdere offrono habitat per la riproduzione, per alimentazione e rifugio invernale per molte specie e ospitano anche insetti in misura superiore alle zone coltivate, limitando l’uso di sostanze chimiche. Il beneficio apportato da queste aree va a favore sì di alcune specie cacciabili – che lo sono solo per un numero di giorni e di capi limitati –, ma anche e soprattutto di moltissime specie protette, legate in particolare agli habitat agricoli.
Tra le specie che beneficiano di questi interventi molte sono prioritarie per la conservazione, ad esempio tortora, rondine, averle, quaglia, cappellaccia, allodola, e molti piccoli passeriformi legati all’ambiente agricolo. Lo stesso avviene per le aree umide, fondamentali per un altissimo numero di specie animali e vegetali. I dati preliminari di uno studio dell’ACMA-FIdC ha dimostrato che in 4 regioni del Centro Nord (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana) i cacciatori gestiscono conservando o dopo aver ricreato recuperandole da condizioni di abbandono, circa 25 mila ettari di zone umide, che ospitano fauna protetta e cacciabile durante tutto l’anno, svolgendo per molte di queste un ruolo insostituibile durante il periodo riproduttivo e di ritorno ai luoghi di nidificazione.
E ancora: recuperi di pascoli e arene di canto in montagna per i galliformi alpini; pulizia e recuperi di fontanili e vasche di abbeverata in Appennino; manutenzione di sentieri e fabbricati rurali; gestione selvicolturale di ambienti boschivi…Sono solo alcuni esempi di cosa i cacciatori fanno per l’ambiente 365 giorni l’anno, non solo a caccia aperta e non solo prelevando, ma operando sempre secondo principi ispirati da etica, scienza e conoscenza. Perché la caccia è utile. Soprattutto all’ambiente.