Legambiente Piemonte-Valle d’Aosta ha diffuso nei giorni scorsi un documento in cui chiede modifiche e ulteriore ritardo nell’approvazione del disegno di legge n 83 “Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2020” della Regione Piemonte. La maggior parte di queste richieste riguarda le variazioni alla legislazione venatoria in questa regione. Alle pagine 4 e in parte 5 Legambiente affronta il tema della pandemia COVID-19, lanciandosi in affermazioni errate, fuorvianti e tendenziose che dimostrano la volontà d’imporre limitazioni all’attività venatoria, prendendo come scusa un dramma sanitario verificatosi in Italia.
Un vero atto di sciacallaggio a cui non si può dare altra definizione se non quella di “meschino”. In merito alle affermazioni esposte nel “Considerato che” di pagina 4 si fa presente quanto segue per i seguenti punti: A proposito della caccia quale mezzo di contatto fra le persone citato da Legambiente è del tutto evidente che l’attività si svolge all’aperto, quindi, adottando le stesse misure che il Governo emana e promulgherà per le altre attività umane, è possibile esercitarla in piena sicurezza. Non corrisponde al vero che le attività venatorie hanno solo carattere ludico-ricreativo, ma al contrario molte attività sono considerate socialmente utili per il controllo delle specie. In ogni caso ci si chiede per quale motivo Legambiente abbia considerato solo la caccia fra le attività ludico-ricreative da limitare, mentre abbia tralasciato altre forme d’interazione dell’uomo con gli animali selvatici, tra cui la ricerca, l’inanellamento, la cura degli animali feriti nei centri di recupero, le visite a parchi naturali con fauna in cattività, oppure la detenzione degli animali d’affezione, anch’essi soggetti potenzialmente al contatto col virus.
Se è vero che COVID-19 rappresenta la più grave forma di pandemia degli ultimi anni, proprio per questo è fondamentale il monitoraggio delle specie selvatiche garantito dalla sorveglianza attiva (raccolta di organi e sangue) degli animali cacciati, eseguita dai cacciatori. I principali fattori scatenanti delle zoonosi sono considerati i cambiamenti di uso del suolo, l’incremento degli allevamenti intensivi e l’utilizzo di pascoli, specialmente in regioni cruciali per la biodiversità, cioè i fattori che intensificano i rapporti diretti tra uomo – animali domestici – fauna selvatica e la possibilità di trasmissione di patogeni tra loro. Diversi studi internazionali suggeriscono come le zoonosi emergenti originate dalla fauna selvatica hanno maggiori probabilità di verificarsi in regioni con una maggiore densità di popolazione umana e una maggiore diversità della fauna selvatica, come nel sud est asiatico e le regioni equatoriali.
Conferma di ciò è che tutte le malattie elencate sono emerse in quelle aree del mondo. In merito allo studio citato, che evidentemente Legambiente non ha letto per intero, si fa presente che non è stata accertata l’origine del virus. Al momento si sta ancora discutendo sull’origine della diffusione del COVID-19 e quindi certe conclusioni appaiono possibili, ma del tutto affrettate e strumentali. L’ipotesi più accreditata ipotizza che la fase iniziale dell’emergenza del virus dalla fauna selvatica sia stata verosimilmente dovuta alla caccia di sussistenza delle popolazioni locali finalizzata ad ottenere proteine animali, che ha causato il passaggio del virus all’uomo passando per una specie in grado di modificare il virus. In ogni caso, la maggior pare delle malattie zoonotiche diffuse a livello mondiale (COVID-19, SARS, Nipha virus, Ebola, AIDS, etc..) derivano da un’interazione più o meno diretta all’interno di ambienti in rapido cambiamento fra animali selvatici, animali domestici e uomo.
Sulla base di quanto sopra descritto la richiesta di Legambiente: “Legambiente Piemonte e VdA chiede pertanto che le norme del capo III del DDL 83/2020 vengano stralciate e rinviate ad un esame approfondito da condurre solo al termine dell’emergenza attuale” risultano del tutto strumentali e orientate dal consueto atteggiamento ideologico anticaccia. Di seguito alcune considerazioni che spiegano l’erroneità della proposta di Legambiente-Valle d’Aosta: Pur in presenza delle gravi problematiche sanitarie in essere, che si confida saranno sempre più attenuate passando ad una fase di possibile convivenza con il virus SARS-CoV-2, sulla base delle considerazioni sopra esposte Federcaccia Piemonte e l’Ufficio Nazionale Studi e Ricerche ritengono: necessario che il futuro della conservazione del patrimonio faunistico e la regolamentazione dell’attività venatoria in Piemonte, così come in Italia, continuino secondo le strategie di gestione già assunte a livello regionale, nazionale e internazionale; necessario che la gestione delle specie di cui trattasi sia nuovamente attivata includendo in essa la ripresa dei monitoraggi di tipo faunistico e sanitario; incongruente la sospensione della modifica di legge richiesta da Legambiente Piemonte e VdA, considerato che la stessa legge regionale proietta i propri effetti per un tempo indefinito negli anni, rispetto ad una pur grave problematica sanitaria che si spera vivamente di poter contenere nei prossimi mesi e possibilmente risolvere nei prossimi anni;
incongruente la richiesta di Legambiente Piemonte e VdA rispetto alla materia trattata, non risentendo di ripercussioni dirette in conseguenza della pandemia COVID-19, se non nel contingente a causa di eventuali limitazioni alla mobilità delle persone;
necessario salvaguardare i servizi ecosistemici che la fruizione sostenibile di quote assai limitate delle popolazioni delle specie oggetto della modifica di legge può assicurare sul piano culturale e socio-economico.
Le successive richieste di Legambiente-Valle d’Aosta sulla riduzione di specie cacciabili sono già state contraddette punto per punto da questa Federazione e dai documenti tecnici dell’Ufficio Studi e Ricerche Nazionale, ci limitiamo a far presente ancora che le specie cacciabili in Italia sono consentite dalla direttiva 147/2009/CE, dalla Legge 157/92, e ritenute cacciabili da ISPRA in tutti i calendari venatori delle altre regioni. Legambiente continua a sostenere tesi prive di fondamento scientifico, e a discriminare i cittadini piemontesi cacciatori dai propri colleghi del resto d’Italia.