Come da copione le più svariate sigle animal-ambientaliste hanno annunciato il ricorso al TAR contro la delibera che autorizza la cattura dei richiami vivi. La presidente della Lega per l’Abolizione della Caccia (LAC) della Lombardia parla di pratica abolita nel 2015 dalla Legge Nazionale, di pratica “brutale” e taccia i cacciatori di somministrazione di ormoni e di costrizione dei richiami al buio. Tali dichiarazioni sono inaccettabili, anche perché offendono un’intera categoria e ne danno un’immagine faziosa e distorta.
Nel 2015 la legge nazionale non ha abolito le catture con le reti, ma ha chiarito che tale pratica deve essere ricondotta nella procedura di deroga prevista dalla Direttiva Uccelli, seguendo un procedimento ben preciso demandato alla Regioni che è stato rispettato, e che consente anche di disattendere i pareri di ISPRA. Quindi nessuna violazione e nessuna forzatura, e nessuna “brutalità”: anzi nel merito si dovrebbe precisare che le reti utilizzate sono più selettive di quelle utilizzate dagli animalisti nei loro impianti di ricerca e che gli operatori addetti liberano immediatamente le specie non oggetto di cattura che dovessero rimanere intrappolate.
Ci si chiede come mai se le reti le usano gli animalisti sono consentite, mentre se usate dai roccolatori sono “pratica brutale”. Gli esemplari da catturare sono molto pochi, ma tanto aiuta almeno per tenere viva un’attività rurale che meriterebbe di essere patrimonio dell’UNESCO, al pari della falconeria che già lo è. E i cacciatori non usano né somministrano ormoni ai richiami per forzarne l’estro, né tengono i richiami segregati per mesi al buio. Le moderne tecniche si basano sulle ore di luce che gli uccelli troverebbero in natura nel periodo degli accoppiamenti. I richiami non sono oggetto di maltrattamento alcuno (Federcaccia Lombardia).