Alcune settimane fa il Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria ha emesso sentenza in merito al ricorso presentato contro l’Atc Perugia 1 con il quale si chiedeva l’annullamento del Piano di gestione cinghiale per la stagione venatoria 2018/19. Forse non tutti ricorderanno la vicenda: numerosi cacciatori e squadre di cacciatori, con l’intervento ad adiuvandum di Federcaccia Umbria e quello formale della Libera Caccia, avevano impugnato il Piano di Gestione e relativo Piano di abbattimento della specie cinghiale della stagione venatoria 2018/2019 proposto dall’Atc Pg1 e approvato in Regione Umbria perché, sostengono i numerosi ricorrenti e l’esperto che ha redatto la perizia portata in tribunale, in sostanza nel piano sarebbero stati assegnati obiettivi di abbattimenti di fatto impossibili (anche tre volte tanto il numero degli anni precedenti) al punto da rendere sostanzialmente sicuro il mancato raggiungimento e dunque certo l’obbligo per gli appassionati di dover pagare di tasca loro i danni all’agricoltura che l’Atc non sarebbe riuscito a coprire con i fondi regionali.
In più, ad aggravare la cosa, sempre a parere dei ricorrenti e della perizia, il non raggiungimento degli obbiettivi previsti sarebbe frutto anche di mancata o inadeguata attuazione di idonee politiche venatorie da parte dell’Atc stesso. Il ricorso venne fatto subito dopo l’approvazione del Piano del 2018/2019 e a chiusura della stagione i numeri realizzati confermano quanto previsto nei ricorsi: percentuali altissime di inadempimento rispetto agli obiettivi di abbattimento, al punto che nella stagione successiva non solo vengono ammesse squadre che non potevano essere ammesse, perché non avevano raggiunto neanche il limite minimo di un terzo, ma vengono puntualmente emesse le richieste di pagamento danni extra budget a tutti i cacciatori che diligentemente, sentendosi obbligati, altrettanto puntualmente rispondono versando.
L’udienza di merito in tribunale però si tiene come molto spesso accade in Italia molto tempo dopo, solo a fine 2020, e la sentenza di pochi giorni fa cosa dice? Attenzione. Non dice che ha ragione l’Atc PG1. Dice che il tribunale ritiene di non poter giudicare il problema sollevato dai cacciatori, dalle associazioni venatorie e dal perito. E i motivi per cui lo afferma sono tanto chiari quanto non condivisibili ma, soprattutto, sono estranei alla vicenda di merito sulla gestione della politica venatoria. Uno di questi motivi è che ormai la stagione 2018/2019 è conclusa e per il tribunale per questo il piano di abbattimento del 2018 avrebbe esaurito i suoi effetti nel passato e dunque cessata la materia del contendere e i ricorrenti non avrebbero più nessun interesse ad avere una pronuncia.
Ma in realtà gli effetti non sono cessati perché i ricorrenti vorrebbero ancora vedere restituite le somme pagate, a loro dire ingiustamente, per i danni non coperti dai fondi regionali. La sentenza afferma inoltre che comunque il tribunale non avrebbe potuto pronunciarsi nel merito perché i tanti cacciatori ricorrenti dovrebbero pagare non in modo uguale, ma in base al famoso mancato raggiungimento di obiettivi. In realtà anche questo non corrisponde a verità, perché tutti i cacciatori hanno chiesto di vedere annullato il piano impugnato e restituite tutte le somme che sono stati costretti a pagare senza fare differenza alcuna tra di loro.
Peraltro queste semplici precisazioni ai motivi indicati dal tribunale erano state indicate nelle ultimissime difese dei cacciatori e di Federcaccia, che il tribunale ha ritenuto di non considerare perché depositate circa alle ore 16.00 invece delle ore 12.00 dell’ultimo giorno, non tenendo conto che per nota giurisprudenza il termine dell’orario non è così rilevante da far togliere un atto da un procedimento oltre al fatto soprattutto che essendo principi generali e già individuabili negli atti di due anni di procedimento non c’era bisogno di ritrovarli necessariamente anche nell’ultima delle repliche dei numerosi ricorrenti per poterle affermare o semplicemente valutare.
Questa la cronaca, ma adesso entrano in gioco aspetti politici rilevanti. All’esito della sentenza, il presidente dell’Atc PG1 si è affrettato a rilasciare una dichiarazione al giornale on line “Perugia Today” che “questa sentenza conferma come l’ATC Perugia 1 abbia sempre agito nel rispetto delle normative vigenti in materia applicando correttamente sia quanto previsto dal regolamento regionale che disciplina il prelievo venatorio della specie cinghiale (Rr numero 34 del 1999 e s.m.i)., sia quanto dettato dalla Legge regionale dell’Umbria numero 17 del 2009 ‘Norme per l’attuazione del fondo regionale per la prevenzione e l’indennizzo dei danni arrecati alla produzione agricola dalla fauna selvatica ed inselvatichita e dall’attività venatoria e dal conseguente Regolamento regionale di attuazione numero 5 del 2010” In realtà, come abbiamo spiegato, la sentenza non entra nel merito e non conferma la bontà dell’operato dell’Atc. La sentenza spiega solo perché ritiene di non dovere affrontare il tema. Che è una cosa ben diversa da quella sostenuta dal Presidente Cruciani.
Per questo motivo i ricorrenti stanno valutando di ricorrere al Consiglio di Stato per ottenere una pronuncia sul merito. Ma la storia non è ancora terminata: ciliegina sulla torta, venerdì 4 dicembre sera l’AtcPG1 per il tramite del proprio difensore ha diffidato tutti i cacciatori e Federcaccia a pagare le spese giudiziali entro 15 giorni, cioè nel ponte dell’Immacolata ed a Natale, minacciando il ricorso alle vie giudiziali per il recupero delle somme con ulteriore aggravio di spese. Il problema della gestione della politica venatoria e del trattamento e della considerazione riservati ai cacciatori si commenta da solo.
Anche senza dover scomodare l’inopportunità delle iniziative per le ragioni di difficoltà economica e sociale che il territorio sta vivendo anche in questi giorni pre-natalizi per le misure restrittive legate al contenimento della pandemia, che pure ci sono, i cacciatori rappresentano in realtà un autentico e prezioso strumento di attuazione della politica venatoria del territorio che non può esaurirsi solo nel vederli come prestatori d’opera gratuiti o fonte di introiti, a seconda dei casi. È ora di fare chiarezza, dunque, ma è anche ora di vedere una svolta non solo giudiziale ma anche politica. Una svolta politica sul territorio in cui anche la Regione, la nuova Regione, può e deve prendere una posizione per una tutela effettiva dell’ambiente, dell’agricoltura, della caccia, dei cacciatori, dei cittadini anche sui nostri territori.