Gli attacchi alla caccia ormai sono all’ordine del giorno: troppi animali, animali in via d’estinzione, danni anche in zone protette, incidenti sulle strade. Una società “malata” non vedendo le proprie colpe scarica sul cacciatore tutto ciò che può basandosi sull’ignoranza venatoria. Così delle brave persone che contribuiscono seriamente al controllo faunistico, ambientale e alle casse pubbliche – regionali e statali – contribuendo da sempre con sostanze economiche importanti ad attività che nulla hanno a che vedere con la caccia, sono costantemente denigrate tanto da diminuire nettamente e quindi aggravando i problemi. Veniamo continuamente chiamati in causa da poco informati dirigenti di qualche associazione agricola, in merito a fatti che in nessun modo possono essere ricondotti a nostra responsabilità. Questa è la volta di tale Bartolini, che conosciamo più per l’assenza che per la presenza a tutte le consulte e a tutti i tavoli tecnici in materia venatoria e di cinghiali, dove ha sempre inviato un delegato.
Forse per questo si sarà perso passaggi importanti come il periodo di apertura alla specie cinghiale che, come per ogni animale selvatico, è rigorosamente limitato a tre mesi dalla legge nazionale. Pertanto non c’è alcuna volontà dei cacciatori di non cacciare in gennaio, ma semplicemente l’esigenza di anticipare ad ottobre l’inizio della caccia per evitare – come successo quest’anno – che il prelievo si riduca nettamente per la neve, oltre al blocco delle squadre dovuto al lockdown. Chi ha voluto il ritardo del prelievo lo scorso anno? Ovviamente l’associazione del Bartolini, che quindi è semmai molto più responsabile del famoso incidente della povera bambina, rispetto a qualsiasi cacciatore.
La stessa sua associazione vorrebbe tardare anche quest’anno, con pretesti quali presunte transumanze di mandrie di cinghiali da regione a regione a gennaio, quando chiunque conosca veramente la caccia sa che in territorio cacciabile i cinghiali a gennaio sono quasi spariti, come è nettamente dimostrato che sono le aree impenetrabili e quelle protette a costituire solide basi per l’irradiamento del suide in primavera. Evidentemente il signor Bartolini trascura che i cacciatori sono coloro grazie ai quali il cinghiale ha un limite alla sua forte espansione. Del resto il presidente della Cia forse ignora anche che nel comprensorio in cui è successo il fattaccio uno dei vicepresidenti, che compone il comitato di gestione dell’ATC, è proprio un suo fidato delegato. Ma allora a quale gioco giochiamo? Ad affrontare realmente il problema o a cavalcarlo per trovare ogni modo per scaricare sulla caccia ogni tipo di responsabilità?
C’è una giusta esigenza di poter lavorare e di avere ripagati i danni realmente dovuti a specie cacciabili, o c’è piuttosto una volontà di sfruttare fino all’ultimo centesimo le onerose tasse che ogni cacciatore già paga? Il principio che la caccia sia quella che provoca la presenza dei cinghiali è come quello che la pioggia provochi la siccità (alla quale oggi qualche esagerato teorico del cambiamento climatico riesce ad arrivare). Come è da sottolineare che ad oggi ci risulta che ogni regola e legge sia fatta dallo stato, dalla regione o dall’ATC con pochissima influenza dei cacciatori, visto che sono in minoranza in tutti i contesti decisionali, compresi quegli organismi che, pur essendo i reali tecnici della presenza faunistica, poco possono fare contro l’intervento di enti, associazioni agricole e associazioni ambientaliste che spesso si trovano concordi su linee anticaccia.
Da sottolineare, però, che il dialogo perso con alcune associazioni agricole in Umbria non dipende certo da noi ma dal fatto che ormai da qualche anno, pur avendo in mano le redini della caccia con le presidenze di due ATC su tre, soffriamo una minore influenza in ambito regionale e le cose non vanno per niente nel verso giusto. Per fortuna i cacciatori da sempre sono spesso anche agricoltori e mantengono forti legami con questo mondo. Si scopre così che praticamente proprio gli ATC gestiti dagli agricoltori non solo dirottano gran parte dei soldi pagati dai cacciatori verso i danni dei cinghiali, ma in due casi su tre sono anche quelli che intavolano continue proposte deleterie per il controllo dei cinghiali e ancor più gravi per il ripopolamento di altre specie meno problematiche. Bilanci che andrebbero verificati meglio non tanto dal punto di vista della correttezza contabile, che non vogliamo mettere in discussione, ma sicuramente dal punto di vista della coerenza con gli obiettivi e le finalità di quell’Ambito territoriale di caccia che dovrebbe porsi principalmente come priorità il miglioramento della caccia e del suo rapporto con il resto degli attori territoriali.
Le tre più grandi associazioni venatorie hanno chiesto il rinvio del bilancio consuntivo e sono concordi nel bocciare totalmente il bilancio dell’ATC PG1, reo di colpire pesantemente buona parte dei distretti della caccia al cinghiale addebitando cifre astronomiche nonostante l’aver proibito per legge, per settimane, la caccia per via delle norme Covid-19. Questo assieme all’avere praticamente azzerato le risorse verso le ZRC, con conseguenze nefaste sul ripopolamento e in vista di regole in arrivo che vieteranno l’importazione di animali di qualità. Quindi quale futuro ha il ripopolamento? Purtroppo ci dispiace che pur avendo simili intenzioni non abbiano seguito l’esempio associazioni venatorie come Arci Caccia e associazioni venatorie e ambientaliste che, sulla carta, dovrebbero essere con i cacciatori come EPS, evidentemente appagate dal colpo mortale inferto alla sola caccia al cinghiale che inevitabilmente si rifletterà su tutta la caccia.