Federcaccia: Sicilia, per la corte costituzionale illegittima la legge siciliana su parchi e riserve naturali in particolare riguardo ai ricorsi presentati avverso l’istituzione della riserva naturale nei Pantani della Sicilia sud orientale.
Finalmente è arrivata la sentenza della Corte Costituzionale sui ricorsi presentati contro l’istituzione della riserva naturale nei pantani della Sicilia sud orientale. Per i cacciatori si apre una porta che sembrava chiusa: la legge istitutiva dei parchi e delle riserve in Sicilia (legge 98 del 6 maggio 1981) è stata dichiarata illegittima in due articoli importanti, perché si discosta dalla legge nazionale 394 nelle parti in cui devono essere coinvolti gli enti locali. La legge siciliana infatti è precedente a quella statale ma non è mai stata adeguata. Viene ribadito in modo definitivo che l’ambiente è materia di competenza statale e che le leggi regionali devono adeguarsi anche in relazione al coinvolgimento stretto dei comuni interessati dai progetti di istituzione delle aree protette. Adesso la sentenza torna al TAR, che dovrà emettere un giudizio definitivo sui ricorsi, e tutto lascia intendere che verrà dichiarato nullo il decreto istitutivo della riserva naturale. La FIdC Sicilia e l’Ufficio Avifauna Migratoria ringraziano tutti gli avvocati che hanno consentito questo successo. Per ora un bel segnale; non mancheremo di aggiornare in merito a ogni successivo evento.In allegato la sentenza n.212/2014 della Corte Costituzionale.
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SENTENZA N. 212 -ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Sabino CASSESE; Giudici: Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera e), 6, comma 1, e 28, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana 6 maggio 1981, n. 98 (Norme per l’istituzione nella Regione siciliana di parchi e riserve naturali), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione di Catania, con quattro ordinanze del 2 aprile 2013, rispettivamente iscritte ai nn. 154, 155, 156 e 157 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visti l’atto di costituzione del Consorzio di tutela della IGP pomodoro di Pachino nonché gli atti di intervento della Regione siciliana;
udito nella camera di consiglio del 23 giugno 2014 e nell’udienza pubblica del 24 giugno 2014 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Giuseppe Gambuzza per il Consorzio di tutela della IGP pomodoro di Pachino e Marina Valli per la Regione siciliana.
Ritenuto in fatto
1.– Nel corso di quattro distinti procedimenti – rispettivamente promossi dal Consorzio di tutela della IGP pomodoro di Pachino (r.o. n. 155 del 2013), dal Comune di Pachino (r.o. n. 154 del 2013), da C.S., in proprio e quale legale rappresentante della Azienda agricola ittica Spatola Francesco & C. (r.o. n. 156 del 2013), e da Acqua Azzurra spa (r.o. n. 157 del 2013) nei confronti dell’Assessorato territorio e ambiente della Regione siciliana, per l’annullamento del decreto del Dirigente generale del Dipartimento regionale dell’Ambiente n. 577 del 27 luglio 2011, con il quale è stata istituita la riserva naturale denominata “Pantani della Sicilia sud orientale” –, il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione di Catania, ha sollevato – con ordinanze di contenuto pressoché identico – questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera e), 6, comma 1, e 28, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana 6 maggio 1981, n. 98 (Norme per l’istituzione nella Regione siciliana di parchi e riserve naturali), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 22 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette).
Richiamando giurisprudenza propria e del Consiglio di Stato, il Tribunale rimettente afferma che i ricorrenti privati sono legittimati a dedurre censure relative alla mancata partecipazione del Comune al procedimento per la istituzione delle riserve naturali regionali, in quanto «ente esponenziale della comunità territoriale». Al riguardo, si rileva che la legge regionale siciliana n. 98 del 1981, in tema di forme partecipative dei Comuni alla istituzione di parchi e riserve naturali, stabilisce la possibilità di formulare «osservazioni» nei confronti della proposta di piano regionale dei parchi e delle riserve naturali (art. 28, comma 1, in riferimento all’art. 4, comma 1, lettera a), nonché la designazione di «tre esperti» da parte delle «tre principali associazioni dei comuni» (art. 3, comma 1, lettera e), da nominare nell’ambito del Consiglio regionale per la protezione del patrimonio naturale, al quale spetta il compito di predisporre il piano regionale dei parchi e delle riserve naturali (art. 4, comma 1, lettera a), in attuazione del quale si provvede alla emanazione dei decreti istitutivi di parchi e riserve (art. 6, commi 1 e 2).
Tali forme partecipative sarebbero, anzitutto, previste solo con riferimento alla predisposizione del piano regionale, ma non al procedimento istitutivo delle singole aree; inoltre, esse sarebbero meno garantistiche di quelle previste dall’art. 22 della legge n. 394 del 1991, essendo dirette solo alla formulazione di proposte e osservazioni circoscritte al piano regionale. Si rammenta, dunque, la giurisprudenza costituzionale che – nel qualificare il citato art. 22 della legge n. 394 del 1991 come “parametro interposto” – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di disposizioni regionali che non prevedevano la partecipazione degli enti locali all’istituzione o alla modifica delle aree protette (sentenza n. 282 del 2000). Il che dimostrerebbe l’impossibilità di ritenere integrabile la disciplina regionale denunciata con le previsioni dettate dal richiamato art. 22 della legge n. 394 del 1991, oltre che impraticabile un’eventuale interpretazione adeguatrice.
Si richiama, inoltre, la giurisprudenza costituzionale nella quale si è sottolineato come la materia dell’«ambiente», pur nella peculiarità del relativo atteggiarsi in rapporto ad altri interessi e attribuzioni regionali, rientri nella competenza esclusiva dello Stato, a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., senza che lo statuto speciale per la Regione siciliana individui una disciplina derogatoria rispetto all’indicato parametro costituzionale; con la conseguenza che il più volte menzionato art. 22 della legge statale dovrebbe ritenersi applicabile anche nell’ambito della Regione siciliana.
2.- Nei giudizi è intervenuta la Regione siciliana, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata. Quanto ai giudizi proposti da privati, si deduce che questi ultimi, contrariamente all’assunto del Tribunale rimettente, non sarebbero legittimati a far valere doglianze relative alla mancata partecipazione al procedimento del Comune di residenza, quale ente esponenziale della comunità territoriale.
Si osserva, poi, sempre in punto di ammissibilità, che non sarebbe stato invocato alcun parametro e che se, dal contesto della ordinanza, dovesse ritenersi richiamato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., difetterebbe adeguata motivazione circa le ragioni della presunta violazione; non sarebbe stata motivata, del resto, neppure la relativa applicazione alla Regione siciliana, dotata di autonomia statutaria, cosicché, ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), lo statuto di autonomia dovrebbe prevalere, salvo che le norme del Titolo V della Costituzione, di cui si assume la violazione, non forniscano un margine di autonomia maggiore rispetto a quello statutariamente assegnato alla Regione.
Si osserva, ancora, che la questione sarebbe priva del requisito della rilevanza, posto che lo stesso TAR rimettente avrebbe, in altra pronuncia (sentenza n. 492 del 1998), fornito una interpretazione costituzionalmente orientata, reputando che, attesa la «concreta incidenza che il provvedimento istitutivo della riserva avrebbe avuto sui ricorrenti», l’amministrazione era obbligata a dar corso agli adempimenti previsti dagli artt. 8 e seguenti della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10 (Disposizioni per i procedimenti amministrativi, il diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa), per pervenire ad un equilibrato assetto degli interessi coinvolti.
Nella specie, il Tribunale rimettente – operando, a sua volta, una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa denunciata – avrebbe potuto respingere i ricorsi, ritenendo la questione superata dal fatto che l’istituzione della riserva naturale era stata preceduta dal parere favorevole del Consiglio regionale per la protezione del patrimonio naturale, composto, tra gli altri, da tre esperti designati dalle tre principali associazioni dei Comuni, il cui compito «è proprio quello di rappresentare, in seno a tale organismo, le peculiari esigenze dei singoli comuni che vengono di volta in volta interessati dai provvedimenti istitutivi di parchi o riserve regionali».
3.– Nel giudizio di cui all’ordinanza n. 155 del 2013 si è costituito il Consorzio di tutela della IGP pomodoro di Pachino, ricorrente in uno dei giudizi a quibus, chiedendo dichiararsi l’illegittimità costituzionale della normativa denunciata. Dopo ampia narrativa concernente la vicenda di cui al giudizio principale, la parte privata sottolinea come la disciplina dettata dalla legge regionale n. 98 del 1981 preveda forme di partecipazione degli enti coinvolti dal procedimento di formazione delle aree protette «notevolmente diverse e meno garantistiche di quelle contemplate dall’art. 22 della l. n.394 del 1991»: la disciplina regionale si limiterebbe, infatti, a stabilire momenti di partecipazione (osservazioni e proposte) soltanto con riferimento al piano regionale dei parchi e delle riserve naturali, «mentre nessuna forma di partecipazione dei comuni e degli enti esponenziali è prevista con riferimento al procedimento istitutivo delle singole aree protette». Ciò risulterebbe ancor più grave nel caso di specie, dal momento che il piano regionale, «istituito nel 1991», non è stato mai più aggiornato, malgrado la legge censurata ne «prevedesse un aggiornamento quinquennale».
L’amministrazione regionale avrebbe dovuto, quindi, verificare la compatibilità delle norme in esame con il mutato quadro di legislazione statale (legge quadro n. 394 del 1991) e con le modifiche costituzionali in tema di riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni. Tanto il Comune di Pachino che il Consorzio ricorrente avevano, peraltro, già nel 2006, evidenziato all’amministrazione regionale la circostanza che il piano regionale dei parchi e delle riserve (approvato con decreto del 10 giugno 1991, n. 970) era fondato su mappe ormai «obsolete», sollecitando una nuova istruttoria sul punto. La violazione del diritto di partecipazione avrebbe, quindi, compromesso gli interessi della comunità locale, la cui economia è fortemente interessata dalla coltivazione dei pomodori (si citano, al riguardo, le sentenze n. 282 del 2000 e n. 315 del 2010 – in tema di competenza statale esclusiva in materia di «ambiente» – nonché le sentenze n. 193 del 2010 e n. 14 del 2012).
Si conclude osservando che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 12 del 2009, ha statuito che, in materia ambientale, la Regione siciliana non ha alcuna competenza esclusiva: un atto legislativo che tratti la materia ambientale dovrebbe, quindi, «necessariamente conformarsi alle ulteriori fonti di diritto che vivono nel territorio, soprattutto se gerarchicamente superiori».
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione di Catania, ha sollevato, con quattro ordinanze di analogo contenuto, questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera e), 6, comma 1, e 28, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana 6 maggio 1981, n. 98 (Norme per l’istituzione nella Regione siciliana di parchi e riserve naturali), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 22 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette).
A parere del Tribunale rimettente, le disposizioni regionali censurate si porrebbero in contrasto con l’evocato parametro costituzionale, in quanto le stesse – a differenza del predetto art. 22 della legge n.394 del 1991, che prevede la partecipazione dei Comuni al procedimento di istituzione delle aree naturali protette regionali, «attraverso conferenze per la redazione di un documento di indirizzo relativo all’analisi territoriale dell’area da destinare a protezione, alla perimetrazione provvisoria, all’individuazione degli obiettivi da perseguire, alla valutazione degli effetti dell’istituzione dell’area protetta sul territorio» – si limiterebbero a stabilire (in materia riservata allo Stato e per la quale non è stabilita una disciplina derogatoria dallo statuto di autonomia), momenti di partecipazione (osservazioni e proposte) soltanto con riferimento al piano regionale dei parchi e delle riserve naturali, escludendo qualsiasi forma di partecipazione dei Comuni e degli enti esponenziali con riferimento al procedimento istitutivo delle singole aree protette.
2.- Le ordinanze di rimessione sollevano un’identica questione, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione.
3.- Vanno preliminarmente disattese le deduzioni svolte dalla difesa della Regione siciliana per sollecitare una declaratoria di inammissibilità della questione per difetto di motivazione sul parametro di riferimento e sulla rilevanza. Occorre, infatti, innanzi tutto, rilevare, quanto alla pretesa mancata deduzione del parametro di costituzionalità, che i provvedimenti di rimessione, ancorché formalmente privi della relativa enunciazione in parte dispositiva, recano, nel corpo della motivazione, univoco richiamo, anche attraverso la citazione della giurisprudenza di questa Corte, alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., espressamente chiamando in causa, come normativa interposta, la disciplina dettata, quale normativa-quadro statale di riferimento, dall’art. 22 della legge n. 394 del 1991. Deve parimenti essere disattesa l’eccezione secondo la quale il giudice rimettente avrebbe omesso di motivare sulla rilevanza della questione, in particolare non spiegando le ragioni per le quali avrebbe reputato impraticabile una soluzione interpretativa adeguatrice, che ponesse la normativa censurata in linea con quella statale, malgrado una simile interpretazione fosse stata adottata dallo stesso Tribunale in altra risalente pronuncia. Nelle ordinanze di rimessione, infatti, la tematica è stata espressamente affrontata, giungendo alla motivata e non implausibile conclusione che, attesa l’“autosufficienza” strutturale della disciplina regionale, circa le modalità partecipative degli enti locali al procedimento di istituzione delle riserve naturali regionali, le stesse «non possano essere integrate in via interpretativa o giurisprudenziale», ma debbano conseguentemente essere sottoposte al vaglio di legittimità costituzionale.
4.- Nel merito, la questione relativa agli artt. 6, comma 1, e 28, commi 1 e 2, è fondata. Questa Corte ha reiteratamente avuto modo di sottolineare come la disciplina delle aree protette, contenuta nella legge n. 394 del 1991, rientri nella competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente» prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (ex plurimis, sentenze n. 263 e n. 44 del 2011). Del pari consolidato è l’assunto secondo il quale la stessa disciplina, enunciando la normativa-quadro di settore sulle aree protette, detta i princìpi fondamentali della materia, ai quali la legislazione regionale è chiamata ad adeguarsi, assumendo dunque anche i connotati di normativa interposta (sentenze n. 14 del 2012, n. 108 del 2005 e n. 282 del 2000).
Allo stesso modo, non controversa – e non contrastata neppure dalla Regione siciliana intervenuta nel giudizio – è la rilevanza che, nel contesto della normativa-quadro di cui si è detto, assume la specifica disciplina diretta a regolare le forme della partecipazione dei diversi soggetti al procedimento istitutivo delle aree protette: essendo del tutto evidente il primario risalto che assumono le voci dei “protagonisti” socio-economici di una determinata zona, specie attraverso i relativi enti esponenziali, ai fini della realizzazione di un progetto di “perimetrazione” funzionale che, ineluttabilmente, finisce per coinvolgere interessi locali, di varia e non di rado antagonistica natura. Ebbene, dal sollecitato raffronto tra l’art. 22 della più volte citata legge n. 394 del 1991 e le disposizioni regionali qui ora in esame, emerge senza ombra di dubbio un sensibile “scostamento”, in chiave inammissibilmente riduttiva, quanto al livello ed alle garanzie partecipative, che nessuna operazione ermeneutica – diversamente da come con insistenza prospettato dalla interveniente Regione siciliana – è in grado di colmare.
L’art. 22 della legge statale, infatti, stabilisce – quali «princìpi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali» – che, nel procedimento destinato all’istituzione delle aree medesime, sono chiamate a partecipare le Province, le comunità montane ed i Comuni, attraverso forme articolate e puntuali, quali «conferenze per la redazione di un documento di indirizzo relativo all’analisi territoriale dell’area da destinare a protezione, alla perimetrazione provvisoria, all’individuazione degli obiettivi da perseguire, alla valutazione degli effetti dell’istituzione dell’area protetta sul territorio». Enti locali chiamati, poi, alla gestione dell’area protetta.
Stabilisce, poi, il comma 2 dello stesso articolo – ad ulteriore contrassegno della importanza annessa al livello ed alle forme di partecipazione delle comunità locali –, che, fatte salve le rispettive competenze per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento e di Bolzano, «costituiscono princìpi fondamentali di riforma economico-sociale la partecipazione degli enti locali alla istituzione e alla gestione delle aree protette e la pubblicità degli atti relativi alla istituzione dell’area protetta e alla definizione del piano per il parco».
Il censurato art. 6 della legge regionale in discorso, invece, si limita, al comma 1, a stabilire che, in attuazione del piano regionale dei parchi e delle riserve naturali, di cui all’art. 5 della legge medesima, si provvede alla istituzione dei parchi e delle riserve con decreto dell’Assessore regionale per il territorio e l’ambiente, previo parere del Consiglio regionale. I decreti istitutivi – puntualizza il successivo comma 3 – «conterranno la delimitazione definitiva delle singole riserve, l’individuazione dell’affidatario e la statuizione degli obblighi dello stesso, in rapporto alle indicazioni tecniche fissate dal Consiglio regionale per la realizzazione dei fini istituzionali delle riserve medesime. Detti decreti recheranno in allegato il regolamento con cui si stabiliscono le modalità d’uso e i divieti da osservarsi».
Alla interlocuzione di soggetti estranei alla amministrazione regionale è dedicato il solo art. 28, il quale stabilisce, al comma 2, che, entro trenta giorni dalla pubblicazione, fra l’altro, della proposta di piano regionale dei parchi e delle riserve naturali, predisposto dal Consiglio regionale per la protezione del patrimonio naturale, a norma dell’art. 4, comma 1, lettera a), «privati, enti, organizzazioni sindacali, cooperativistiche, sociali potranno presentare osservazioni su cui motivatamente dovrà dedurre l’ente o l’ufficio proponente e che dovranno formare oggetto di motivata deliberazione da parte dell’ente preposto all’approvazione degli strumenti suddetti contestualmente alla stessa approvazione».
Si tratta, evidentemente, in entrambi i descritti casi, di previsioni di gran lunga meno garantistiche di quelle statali in tema di partecipazione degli enti territoriali locali al procedimento di istituzione delle aree naturali regionali protette: l’unico e limitato segmento “consultivo” è previsto, infatti, genericamente e indistintamente, a favore di figure soggettive prive di qualsiasi caratterizzazione “individualizzante” e in riferimento alla mera facoltà di «presentare osservazioni»; non già, peraltro, in relazione al provvedimento istitutivo di una determinata area protetta, ma solo alla pubblicazione della proposta di piano regionale dei parchi e delle riserve naturali. Non senza evidenziare come nessun risalto partecipativo venga poi assegnato agli enti locali in tema di gestione delle aree. Le disposizioni qui in esame, pertanto, omettendo di assicurare, in particolare ai Comuni, la possibilità di rappresentare sul piano procedimentale, secondo le opportune forme, i molteplici interessi delle relative comunità, risultano in contrasto con i parametri evocati e vanno dichiarate, in parte qua, costituzionalmente illegittime.
5.- Le ragioni di illegittimità costituzionale testé enunciate a proposito degli artt. 6, comma 1, e 28, commi 1 e 2, della legge regionale in discorso, non valgono per la norma di cui al denunciato art. 3, comma 1, lettera e). Nell’attribuire alle «tre principali associazioni dei comuni» il potere di designare «tre esperti» come componenti di un organo eminentemente tecnico-professionale, quale il già ricordato Consiglio regionale per la protezione del patrimonio naturale (nel quale è prevista la partecipazione, tra gli altri, di «un esperto designato dall’Unione delle Province d’Italia (UPI)», di docenti universitari proposti dalle «università dell’isola», di esperti proposti «dalla sezione regionale dell’Istituto nazionale di urbanistica e dall’Istituto internazionale di vulcanologia del Consiglio nazionale delle ricerche» o designati da una serie di enti e associazioni del settore, tutti «scelti fra persone di alta e sperimentata competenza nel campo della salvaguardia della natura e dell’ambiente», secondo l’espressa previsione di cui al comma 2 dello stesso art. 3), la predetta disposizione denunciata assicura, sia pure in una forma variamente indiretta, un livello partecipativo minimo anche degli enti locali conforme o non incompatibile con i princìpi di cui alla richiamata legislazione dello Stato.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 6, comma 1, e 28, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana 6 maggio 1981, n. 98 (Norme per l’istituzione nella Regione siciliana di parchi e riserve naturali), nella parte in cui stabiliscono forme di partecipazione degli enti locali nel procedimento istitutivo delle aree naturali protette regionali diverse da quelle previste dall’art. 22 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera e), della legge della Regione siciliana 6 maggio 1981, n. 98 (Norme per l’istituzione nella Regione siciliana di parchi e riserve naturali), sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione di Catania, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014.
F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2014.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
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Ufficio Avifauna Migratoria Federcaccia
( 22 Luglio 2014 )