Federcaccia Salerno sulla gestione, approssimativa e talvolta incompetente, dell’attività venatoria nella Regione Campania e nella Provincia di Salerno, “Il punto sulla Caccia, ma quale Caccia!”.
Ne sono esempio gli emendamenti alla legge 26/2012 che dovevano essere approvati in breve tempo per poter rispondere alle osservazioni dell’Avvocatura dello Stato e della Corte Costituzionale. Dopo un primo passaggio in VIII Commissione regionale, senza nessuna condivisione con il mondo venatorio, venivano fortemente contrastati dalle rappresentanze dei cacciatori a tal punto da riuscire a farli rielaborare, ma portati in aula più volte non venivano approvati a causa di manovre interne e liti tra esponenti della stessa maggioranza che prestavano anche il fianco ad attacchi dell’opposizione. Le leggi sicuramente sono prerogativa della classe politica, ma una politica, sorda alle proposte dei fruitori delle norme che si vogliono approvare, appare presuntuosa e sicuramente, non avendo specifica competenza ed esperienza delle problematiche di ogni singola disciplina venatoria, sarebbe opportuno che si avvalesse di quelle messe a disposizione da chi quotidianamente affronta tali questioni.
Il “modello” Campania non è accettabile, le regole del mondo venatorio nella nostra Regione non possono dipendere da qualche funzionario, probabilmente “anticaccia”, che più o meno artatamente si organizza sul modo di come mettere i bastoni tra le ruote ai cacciatori. Un dipendente di una normale azienda dopo svariati errori, perpetrati negli anni sempre sulla stessa problematica, sarebbe stato licenziato o almeno rimosso da quell’incarico per evitare ulteriori figuracce; in Regione Campania invece per anni, molti anni, si sono subiti e persi ricorsi al TAR, si sono effettuati errori grossolani su calendari, procedure e decreti vari, ma la squadra regionale rimane inattaccabile!!!
La Caccia è regolata in ogni Regione da una legge specifica che recepisce le linee guida di quella nazionale (157/1992) e delle varie normative europee. Bene! Vorrei capire perché e per quale criterio esistono tante diversità tra le varie leggi regionali e soprattutto tra i vari calendari venatori dove variano tempi, specie e carnieri anche tra Regioni confinanti, il più delle volte con le maggiori restrizioni per i cacciatori campani. I danni che il popolo di Diana sta subendo nella nostra regione sono probabilmente irreparabili, il suo mondo interessa solo marginalmente la politica e molte volte solo per quello che riguarda il lato elettorale ed economico che questo rappresenta. Il tutto si evidenzia anche nella situazione degli ATC che, dopo le ultime modifiche alla legge 26/2012, diventeranno dei carrozzoni senza potere, potere che passerà nelle mani della Regione, ma contenitori dove i cacciatori riversano ogni anno più di un milione di euro (€ 31,00 x circa 45.000 cacciatori) e dei quali hanno tutto il diritto di chiederne conto.
Come anche conto dovrebbe dare la Regione (vedi LL.RR. della Campania n. 8/96 – art. 40 e n. 26/2012 – art. 40 – Utilizzazione dei proventi: omissis . . Tutte le entrate di cui alla presente legge sono utilizzate per gli scopi che la stessa si prefigge.) dei circa tre milioni di euro che incassa annualmente dalla tassa regionale (€ 66,00 x circa 45.000 cacciatori) e dei quali non è ben chiaro dove finiscano dato che alle Province, Enti delegati alla gestione della caccia, di questi soldi ne giungono ben pochi, a tal punto che la Provincia di Salerno (unica in Campania ad averlo fatto) ha dovuto istituire un ulteriore balzello (€ 50,00) per poter ritirare l’attestato di abilitazione all’attività venatoria (esame di caccia) perché talmente a secco da non poter più garantire nemmeno il normale funzionamento dell’Ufficio Caccia. E tutto il denaro che i cacciatori della regione Campania versano nelle casse STATO/REGIONE/PROVINCIA che fine fa e come realmente viene speso?… stiamo parlando di più di DODICIMILIONI di euro.
Il mondo della Caccia è un universo meraviglioso e nello stesso tempo misterioso a tal punto da ipnotizzare chi lo avvicina, ma sicuramente non fino a fargli accettare la parte dell’indigeno con i primi colonizzatori che barattavano perle in cambio di collanine e specchietti. Perché è forse questa la parte che ci vogliono far interpretare le forze politiche, ci promettono grandi cose propinandoci poi “servizietti” in grande stile; mentre da un lato si professano simpatizzanti della Caccia e impegnati nella risoluzione dei suoi problemi, dall’altro preparano leggi (vedi la nuova proposta – Reg. Gen. N. 327 – “Riorganizzazione delle aree protette regionali, del sistema parchi urbani di interesse regionale, nonché dei siti della Rete Natura 2000.”) l’attuazione delle quali chiuderebbe di fatto la Caccia in Campania.
Questa nuova proposta normativa tende ad istituire altre zone protette (aree di collegamento ecologico, zone di congiungimento tra le aree protette esistenti aventi i medesimi vincoli di protezione), ad attribuire le competenze di gestione e tutela delle Aree Natura 2000 agli Enti Parco (per cui le ZPS e le SIC sarebbero controllate e gestite dagli Enti Parco) ed infine la costituzione delle Aree Contigue ai Parchi Regionali che metterebbe in totale confusione tutto il mondo della Caccia campano a tal punto da rendere impossibile una qual si voglia attività venatoria. Le aree protette ormai in Campania si trovano dappertutto e continuano a nascere e a proliferare ovunque, sicuramente a questo germogliare continuo ha fatto da “concime” tutta una serie di cose che passa attraverso le poltrone che questi enti offrono (spesso ben rimborsate . . .), i contributi ai quali si può accedere ma anche al potere e l’immagine che danno nei confronti dell’opinione pubblica. Chissà perché in tutti i Comitati delle aree protette, mantenute con il danaro pubblico, sono presenti i componenti del mondo ambientale ma esclusi i cacciatori (anche se portatori di interessi similari), mentre negli ATC (Ambiti Territoriali di Caccia, nei quali l’unico danaro è quello dei cacciatori) sono presenti le Associazioni ambientaliste alle quali si concedono anche contributi per attuare progetti sul territorio.
Accettare passivamente il ruolo di vittima sacrificale non credo possa essere gradito al mondo venatorio, già troppe volte per praticare la nostra passione abbiamo dovuto ingoiare compromessi assurdi e senza senso. In altre parti del mondo, d’Europa, ma anche d’Italia la Caccia è vista come un’attività del vivere civile, nei suoi lati negativi, ma anche in quelli positivi, un volano dell’economia, posti di lavoro e attività commerciali hanno nell’indotto dell’”ars venandi” enormi potenzialità. D’esempio dovrebbero essere alcune regioni italiane che, anche non avendo territori vocati alla caccia come i nostri, investono in essa con indiscutibili successi economici. Contrariamente in Campania, vedi le battaglie contro le Aziende Venatorie e i campi addestramento, si fa di tutto per scoraggiare chi della nostra passione ne fa un attività di vita e di lavoro. L’assurdo si evidenzia nella considerazione che: mentre le risorse dei cacciatori messe in campo per poter praticare la loro passione vengono spesso impegnate per risolvere problemi di ben altra natura (vedi buchi nella sanità, nella spazzatura ed in altre forme di urgenze economiche), il mondo della caccia è accusato di sfruttare i soldi pubblici ricevendo finanziamenti principeschi.
E’ chiaro il riferimento all’ignorante (cosa ignorata) affermazione della signora Brambilla la quale sicuramente non sapeva, o ha preferito non approfondire il problema, che quei circa quattro milioni di euro (oggi divenuti meno di due milioni) che lo Stato Italiano versa alle Associazioni venatorie non sono un contributo ma bensì un’addizionale, istituita molti anni fa e pagata in aggiunta alla tassa di concessione governativa, per finanziare le stesse e che quindi sono soldi dei cacciatori che si autofinanziano (paragonabile alla quota che i lavoratori versano sulla busta paga alle rappresentanze sindacali e non credo che qualcuno si permetta di affermare che lo Stato italiano elargisce quei soldi come contributo ai sindacati). Il massimo si è raggiunto poi con la decurtazione e l’incameramento, da parte dello Stato, prima del 20% ora del 50% di tale addizionale ed il tutto d’autorità e in completa autonomia.
La musica a livello provinciale non cambia… nello stesso periodo abbiamo avuto tre Assessori non conoscitori della materia venatoria e dei quali due nemmeno espressione del territorio ma ben sì “esterni” (tecnici?). I danni sono evidenti, manca una ben che minima programmazione: come può un Assessore pianificare la caccia non sapendo se domani sarà ancora al suo posto o lavorare qualitativamente non avendo il controllo della sua squadra… Per valutare l’impegno delle forze politiche provinciali nei confronti del mondo venatorio basta considerare i ripopolamenti fatti dall’Amministrazione negli ultimi tre anni: ventimila euro (pari a qualche migliaio di fagiani), a fronte dei circa due milioni di euro versati nelle casse regionali nello stesso periodo. Se non fossero intervenuti gli ATC con consistenti immissioni effettuate con le quote dei cacciatori, il territorio salernitano non avrebbe avuto nessun significativo intervento di ripristino della fauna selvatica.
Né basta elargire alcune migliaia di euro alle Associazioni per l’informatizzazione delle domande e dei procedimenti inerenti la caccia per sentirsi a posto con la coscienza, oltretutto informatizzazione voluta dagli enti stessi e che ha portato enormi sgravi di lavoro alle Amministrazioni assegnando, invece, alle Associazioni venatorie un ruolo indispensabile per non abbandonare ulteriormente il cacciatore che non pratica la sua passione nel web ma ricerca territori e selvaggina per poter professare il suo grande amore, possibilmente con regole equilibrate e certe in concertazione con il resto del mondo venatorio, agricolo ed ambientalista. Le leggi, la vecchia regionale 8/1996 e la nuova 26/2012, all’art. 36 c. 8 prevedono per gli ATC: “Gli Organi di gestione degli ATC hanno sede presso le competenti Amministrazioni Provinciali… omissis.. le Province assicurano anche il supporto tecnico ed amministrativo.” Forse mi sbaglio ma il legislatore voleva intendere che l’Amministrazione provinciale doveva provvedere ad una sede, ai mezzi tecnici (attrezzature e macchine d’ufficio) e al personale per la gestione quotidiana del lavoro.
La Provincia di Salerno ha inteso tutt’altra cosa: valutato che si tratta di istituzioni che gestiscono “solo” dalle otto alle novemila domande/iscrizioni, ha stabilito che sarebbe stata sufficiente come sede una stanza di 20 mq (come segreteria, come stanza di rappresentanza e anche come sala riunioni dei 13 (19) membri del Comitato di gestione), un dipendente della Provincia nei ritagli di tempo del suo lavoro quotidiano come supporto lavorativo e per tutto il resto si arrangino loro. Questa è la considerazione che l’Amministrazione di Salerno da ai suoi 11.500 cacciatori che comunque versano nelle casse dei due ATC salernitani circa 350.000 euro annuali?
Ma il problema si evidenzia realmente nella regolamentazione della caccia al cinghiale dove, dopo molti anni con gravi problematiche di convivenza e di territorio tra le squadre di cinghialai, si era giunti ad un tacito accordo tra di loro con la suddivisione delle località dove praticare la caccia. La scelta di assegnare zone fisse, imponendo regole confusionarie ed approssimative (ad oggi ai praticanti la caccia al cinghiale non è chiaro se il regolamento vigente è quello stampato in migliaia di copie e distribuito in più occasioni dall’Ufficio Caccia provinciale o quello pubblicato su internet nel sito ufficiale della Provincia o quello che gira tra gli uffici e i capocaccia in fotocopie più o meno leggibili) che non trovano riscontro in nessun’altra parte d’Italia, o addirittura modificate ad arte sotto la spinta del politico di turno, non ha visto altro che il proliferare di nuove squadre con la necessità di reperire ulteriore territorio, ma soprattutto, la corsa di ogni gruppo all’appoggio dei politici, dei funzionari preposti o delle Associazioni di categoria finendo coll’aumentare la confusione e rendendo fallimentare ogni possibile gestione di questa caccia.
La continua ricerca dell’incontro con la base (i cacciatori) sicuramente è un fatto positivo e meritorio, ma le regole si decidono con i sindacati (le Associazioni venatorie) e non con gli operai (i cacciatori), altrimenti a qualcuno potrebbe sembrare più una campagna politico-elettorale che non il desiderio di conoscere le reali esigenze dei cacciatori. Il ruolo di ogni componente del “meccanismo” dovrebbe essere chiaro e rispettoso delle altre parti, i balzi in avanti e il mostrare i muscoli… è ormai cosa dei tempi passati e non appartiene alla gestione dell’universo venatorio moderno. Realmente poi la colpa di tutto è delle Associazioni venatorie, della loro divisione, degli interessi che girano intorno a questo modo, o di chi per scopi ben diversi dalla Caccia ne vorrebbe “mungere” il latte? Con tutto ciò, di che Caccia vogliamo parlare?
Luigi Spera
Presidente FIdC Salerno
(21 luglio 2013 )