Zone umide
Lo scorso ottobre la Guardia di Finanza ha scoperto e sequestrato oltre 500 piante di canapa indiana coltivate in un terreno all’interno del Padule di Fucecchio, dove per mesi sono state accudite e cresciute come in un comune orto. Oltre alle scontate e meritate congratulazioni alle forze dell’ordine per aver represso un reato, l’episodio ci spinge a fare alcune riflessioni. Il Padule di Fucecchio è una delle più importanti zone umide europee e come tale giustamente deve essere tutelato e salvaguardato. Una tutela e una salvaguardia che nei fatti, da conoscitori e frequentatori dell’area, ci pare venga interpretata dai più esclusivamente come restrizione e divieto di esercitare le attività tradizionali, caccia in primis. Ottenuto questo risultato tutto il resto sembra poter passare in secondo piano. Ci chiediamo in effetti che tipo di controllo viene esercitato sul Padule, come sono stati spesi tutti i fondi finalizzati per l’istituzione e il mantenimento delle riserve naturali e dove sono e cosa fanno gli organi di controllo che lo dovrebbero verificare. E ancora: con che criterio logico viene ripetutamente, a volte con insistenza, chiesto da alcuni l’allargamento delle riserve naturali se a quanto pare chi è tenuto a farlo non è in grado di controllare e ancor più gestire quelle già esistenti?
Stato di abbandono
Ormai più di 4 anni fa, era il 12 ottobre del 2018, in alcune zone del Padule di Fucecchio fu effettuato un sopralluogo da parte di una delegazione della Consulta per il Padule, con la partecipazione dell’allora Assessore e dei dirigenti dell’Ufficio ambiente della Regione, alcuni sindaci dei comuni rivieraschi, rappresentanti delle associazioni venatorie, proprietari e altri Enti. Evidente emerse in quella occasione lo stato di abbandono e degrado dell’area, e furono messe in evidenza la criticità di approvvigionamento idrico nelle riserve e la mancata gestione, con in particolare gli aspetti legati all’invasione quasi del tutto incontrastata di fauna e flora (in particolare la terribile nappola italiana), alloctone e invasive, con la conseguente alterazione e distruzione del delicato equilibrio dell’ecosistema e della biodiversità del Padule. Purtroppo, come era facile prevedere e come avevamo già allora immaginato, le cose nella zona del Padule e soprattutto nelle aree protette sono peggiorate, tanto che dopo 4 anni proprio in una di queste aree, la Monaca, invece di trovare un ambiente ben tenuto con sfalci regolari, acqua nella giusta misura ed erbe palustri autoctone, la Guardia di Finanza ha trovato appunto una piantagione di marijuana nascosta dalla fitta vegetazione di piante invasive.
Una zona sensibile
Non ci sembra provocatorio né tendenzioso affermare che le cose così non vanno, non possono e non devono continuare. Fra l’altro, con i lavori di rinaturalizzazione del Padule eseguiti dal Consorzio 4 Basso Valdarno (alcune di queste opere consigliate anche dalla Federcaccia) si sono avuti significativi miglioramenti ambientali e strutturali. Ma la disponibilità e buona volontà dell’ente non possono sostituirsi alle mancanze delle istituzioni regionali. Una zona così sensibile – che ricordiamo essere anche un bacino alluvionale da cui dipende la sicurezza idrogeologica di tutta la Valdinievole – necessita di una gestione programmata dei lavori di manutenzione straordinaria e ordinaria (sfalci, puliture e ricavature fossi, canali, ecc.); di un approvvigionamento e gestione idrica di tutto il cratere palustre, in special modo le riserve naturali, 365 giorni l’anno; di un controllo serio di fauna e flora alloctona. Tutte cose che come Associazione venatoria insieme a tanti altri cittadini denunciamo da anni, segnalando in tutte le sedi e occasioni di confronto istituzionale oltre che attraverso gli organi di informazione, lo stato di degrado e abbandono in cui versano invece soprattutto le aree protette. Chiediamo per l’ennesima volta alla Regione di affrontare le criticità che da sempre evidenziamo e trovare soluzioni valide e concrete, invitando ufficialmente il Presidente Eugenio Giani e l’assessore regionale all’Ambiente Monia Monni a verificare con i loro occhi che quanto stiamo dicendo corrisponde alla realtà dei fatti. Noi, come sempre, siamo pronti a qualsiasi confronto (fonte: FIDC).