Non c’è dubbio che la cronaca recente e la situazione di grande insicurezza che stiamo ancora vivendo nel nostro Paese e nel resto del mondo, ha alzato l’attenzione e la sensibilità attorno a tutto quello che riguarda virus, zoonosi e animali selvatici. Qualche preoccupazione ha destato dunque la notizia recente di un gatto domestico colpito da un virus appartenente al gruppo dei virus della rabbia, anche se diverso dalla rabbia classica che noi conosciamo e da cui l’Italia è ufficialmente indenne dal 2013. Il virus isolato appartiene a Lyssavirus tipici dei pipistrelli, è estremamente raro – un solo caso rinvenuto a livello mondiale, in un pipistrello del Caucaso nel 2002 – e farebbe quindi pensare a un nuovo caso di passaggio di virus da ambiente selvatico a quello domestico e di conseguenza all’uomo.
La situazione è completamente diversa da quanto avvenuto con il COVID-19, ma torna ad evidenziare la necessità per la sicurezza dell’uomo di conoscere lo stato sanitario della fauna selvatica. Il Ministero della salute ha chiesto che tutte le carcasse di mammiferi selvatici riconducibili alla definizione di caso sospetto, siano analizzate. Ma chi è che può fare tali ritrovamenti e segnalarli all’autorità se non chi è solito frequentare boschi e ambienti naturali fuori dai consueti percorsi escursionistici e turistici? Ancora una volta emerge chiaramente che la sorveglianza passiva dell’ambiente e quindi la sicurezza della popolazione è strettamente legata alla presenza e alle segnalazioni dei cacciatori, oltre che alla loro conoscenza della fauna selvatica che può far individuare comportamenti che si discostano dall’ordinario segnalando precocemente potenziali situazioni di crisi. Nella nota che segue, un approfondimento sull’episodio e su questo tema redatto dall’Ufficio Studi e Ricerche Faunistiche e Agro-ambientali della Federazione Italiana della Caccia.
Caso di Lyssavirus in un gatto nel comune di Arezzo.
A seguito della morte del gatto che presentava una sintomatologia nervosa e che aveva precedentemente morso la proprietaria, residente nel comune di Arezzo, sono state condotte delle indagini di laboratorio che hanno portato all’identificazione della presenza nell’animale di un virus appartenente al gruppo dei virus della rabbia. Il virus isolato appartiene a Lyssavirus tipici dei pipistrelli ed è diverso dal virus della rabbia classica. Prima di questo caso, questo specifico Lyssavirus era stato rinvenuto una sola volta, a livello mondiale, in un pipistrello del Caucaso nel 2002, senza che ne fosse mai stata confermata la capacità di infettare animali domestici o l’uomo. La rabbia classica è generalmente trasmessa dai carnivori domestici e selvatici e gli ultimi casi erano stati segnalati in Italia nella volpe, dal 2008 al 2011. L’Italia è ufficialmente indenne dal 2013. Sulla base dell’esperienza maturata da casi simili in altri Paesi, per virus analoghi a questo Lyssavirus la capacità di trasmissione dal serbatoio naturale ad un’altra specie rappresenta un evento estremamente limitato, a cui non fa seguito una diffusione epidemica.
In ogni caso, gli approfondimenti epidemiologici, richiesti dalla tipicità e dalla novità del caso, hanno determinato la costituzione presso il Ministro della Salute, di concerto con la Regione Toscana, di un gruppo tecnico scientifico. Il rilievo dell’infezione nel gatto rappresenterebbe la prima evidenza, a livello mondiale, del passaggio del sopracitato virus dal chirottero ad un altro mammifero, ma essendo questa l’unica segnalazione non è di per sé sufficiente a stabilire con esattezza il serbatoio, per cui sono in corso gli approfondimenti necessari e la raccolta di informazioni e campioni. Il Ministero della Salute ha emanato una nota informativa che definisce il caso sospetto anche nei mammiferi selvatici (con esclusione dei chirotteri), ovvero “ogni mammifero selvatico che presenti i seguenti sintomi o atteggiamenti oppure venuto a morte dopo averli presentati: aggressività/alterazioni del comportamento, incoordinazione motoria inclusa paralisi flaccida, riduzione della distanza di fuga, facilmente catturabile.”
Viene richiesto dal Ministero della salute che tutte le carcasse di mammiferi selvatici riconducibili alla definizione di caso sospetto, siano conferite all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale competente per il territorio tramite l’ASL di riferimento. Ci troviamo di fronte un nuovo caso di passaggio di virus da ambiente selvatico a quello domestico e di conseguenza all’uomo. Sicuramente la situazione è ben lontana da quanto avvenuto nel recente passato con il COVID-19, ma sottolinea come sia fondamentale per la sicurezza dell’uomo conoscere lo stato sanitario della fauna selvatica. E in questo contesto, ancora una volta, la strategia vincente è la sorveglianza passiva, ovvero la raccolta di carcasse e la segnalazione di mortalità nelle specie selvatiche che solo i cacciatori possono mettere in atto efficacemente, a tutela non solo della passione venatoria ma anche e soprattutto della salute pubblica (Ufficio Studi e Ricerche Faunistiche e Agro-ambientali).