Pochi calendari
Sono solo cinque ad oggi i calendari venatori pubblicati da Regioni e Province autonome e di questi solamente uno ha inserito la tortora selvatica (Streptopelia turtur) come specie cacciabile. È stato sufficiente per la miriade di piccole e grandi Associazioni pseudoambientaliste ormai in gran parte solo anticaccia, per alzare il consueto polverone fatto di catastrofiche previsioni di estinzioni di massa destinato a influenzare l’opinione pubblica ottenendo visibilità mediatica e forse qualche tessera in più. Limitandoci ai fatti oggettivi, la tortora è una specie classificata “Vulnerabile” in Europa, ma “Quasi minacciata” in Unione Europea. Apparentemente queste definizioni appaiono preoccupanti, ma scientificamente significa che le popolazioni dell’UE non sono ad oggi una categoria a rischio.
Gestione venatoria adattativa
La contrazione numerica comunque è rilevabile e questo fatto non viene messo in discussione da nessuno, comunità venatoria internazionale compresa. Proprio per questo motivo la tortora è oggetto di due piani di gestione – uno internazionale e uno italiano – che stabiliscono entrambi una gestione venatoria basata sul “prelievo adattativo”. Ciò significa appunto “adattare” la quota di capi prelevabili – sempre una percentuale prudenziale del numero complessivo di individui – in relazione allo stato delle popolazioni. Nel corso degli incontri internazionali svoltisi dal 2020 ad oggi sulla specie è emerso un approccio molto rigido della Commissione sull’attività venatoria che spinge verso l’opzione “prelievo zero”, anche quando il modello matematico scelto per valutare l’impatto del carniere consentirebbe una quota minima di prelievo, contemporaneamente alla previsione dell’incremento della popolazione. Questo è quanto è avvenuto al momento della decisione di sospendere la caccia nell’areale occidentale, dove il declino era molto più marcato: nonostante il modello lasciasse una possibilità per un limitato carniere, la Commissione spinse per la moratoria.
Proposta di sospensiva
La proposta di sospensiva totale nell’areale centro-orientale (in cui ricadono la maggior parte delle regioni del nostro Paese) avanzata dalla Commissione nella riunione del 19 aprile 2024 appare ugualmente troppo forzata, anche perché tre anni di riduzione del prelievo in misura superiore al 50% non hanno portato a un aumento della popolazione di tortora selvatica. Questa evidenza non soddisfa ovviamente nessuno: né Commissione né ambientalisti né cacciatori. Tuttavia, dimostra che non è la caccia il fattore su cui agire in modo principale a tutela della specie. Non è un caso che vari Paesi non si siano dichiarati d’accordo con la proposta di moratoria della Commissione. Contrariamente a quanto riportato nella sopra ricordata lettera delle Associazioni protezionistiche, la possibilità di eseguire un prelievo ancor più ridotto rispetto alle stagioni passate non configura affatto una violazione dell’articolo 7 della Direttiva, ma è semplicemente un’opzione prevista nel prelievo adattativo, uno strumento che da nessun punto di vista, legislativo o tecnico-scientifico, è sinonimo di divieto assoluto di caccia, come vorrebbero far credere.
Studi sugli habitat
Le Associazioni venatorie vogliono che la popolazione di tortora selvatica torni a livelli numerici soddisfacenti, e sono impegnate su questo fronte con studi e azioni sugli habitat, la cui rarefazione e scomparsa per motivazioni legate alle modifiche delle colture agricole e dei territori sono il vero fattore impattante sulla demografia delle popolazioni selvatiche. Allo stesso tempo, tuttavia, non possono accettare che si interpretino i piani di prelievo in modo ideologico e non scientifico, soprattutto quando è possibile stabilire quote di prelievo nazionale ininfluenti sulla dinamica di popolazione della specie. L’obiettivo da perseguire, nell’interesse della specie e delle “future generazioni” (per parafrasare il dettato costituzionale dell’art.9) è mantenere vivo l’interesse sulla questione e attuare puntigliosamente il piano di gestione: su questo vorremmo vedere il forte attivismo delle Associazioni animal-ambientaliste! Purtroppo, abbiamo molte dimostrazioni che in Italia, quando si attuano i divieti al posto della gestione, il risultato è il disinteresse e l’abbandono di azioni positive per la soluzione del problema (Ufficio Studi e Ricerche Faunistiche e Agro Ambientali Federcaccia).