Nella rubrica “Cacciapensieri” la sezione provinciale di Brescia della Federazione Italiana della Caccia ha affrontato la questione della peste suina africana. Il mondo venatorio deve contribuire alla sorveglianza sanitaria dei selvatici, in modo da tutelare il bene pubblico. Come è noto, questa patologia si diffonde in maniera molto ampia ed è ora considerata endemica in tante parti del Caucaso e dell’Europa dell’Est.
La malattia colpisce i suidi, cinghiale in primis, e potrebbe propagarsi anche con i movimenti transfrontalieri di persone, salumi, strumenti e ungulati infetti. Il Nord Italia sembrava essere al sicuro, ma a questo punto qualsiasi paese con un settore suino deve essere considerato a rischio. Federcaccia Brescia ha ricordato come la produzione familiare sia un fattore di vulnerabilità a causa della bio-sicurezza molto bassa.
Non esiste un vaccino, di conseguenza è necessario stilare una diagnosi precoce, predisponendo un meccanismo di risposta rapida a una eventuale epidemia. I cacciatori, inoltre, rappresentano il personale in grado di tenere a bada la patologia, nonostante le istituzioni non abbiano ancora intuito le potenzialità di questo monitoraggio. Il paradosso è che esistono molte proibizioni per i cacciatori, ma allo stesso tempo gli enti sanitari invitano gli stessi alla collaborazione