La nuova emergenza per il mondo agricolo sono i danni causati dalla fauna selvatica. La mancanza di dati dati ufficiali e l’assenza di strumenti per quantificarli, ha aperto un dibattito sulle nuove opportunità di gestione del territorio da parte delle imprese agricole e l’attività venatoria.
I danni causati dalla fauna selvatica all’agricoltura, rappresentano una vera e propria emergenza. La riforma della legge 157/92 dà l’opportunità di riprendere il confronto tra caccia, agricoltura e tutela dell’ambiente, al fine di trovare un’intesa tra queste tre attività per una più efficiente gestione del territorio.
La legge menzionata dovrebbe conoscere il miglioramento di alcuni suoi contenuti, per adeguarla alle posizioni ed orientamenti della Politica Agricola Comunitaria.
Rinnovando alcuni principi della pianificazione faunistico-venatoria del territorio e la relativa programmazione della caccia, si otterrebero notevoli risultati in termini di tutela del territorio ed il suo rinnovamento della fauna selvatica.
Il mondo agricolo vorrebbe che vengano rimossi alcuni vincoli sulla’attività venatoria, poiché quest’ultima è considerata un ottimo strumento per contenere i danni causati dalla fauna selvatica, evitando in tal modo il ricorso a strumenti assicurativi per il risarcimento. Le P.A., infatti, sono chiamate spesso a farsi cairco di tali risarcimenti, che sul piano finanziario pesano molto sulle tasche dei cittadini. Altro problema riguarda la quantificazione dei danni, che spesso conduce soltanto a risultati parziali, anche attraverso indagini accurate da parte della Coldiretti e del WWF.
Molti sostengono che si dovrebbe partire proprio da questo aspetto, ossia la raccolta dei dati, per poter aver un quadro preciso sulla reale situazione circa il problema dei danni causati dalla fauna selvatica all’agricoltura, consentendo di conseguenza alle P.A. di essere sempre e costantemente aggiornate. Poter contare su indagini statistiche che forniscano dati aggiornati su scala nazionale aiuterebbe a monitorare, in maniera più efficiente, il problema. Allo stato attuale gli unici dati che abbiamo a disposizione si basano solo ed esclusivamente sulle richieste di risarcimento presentate dagli agricoltori. Una stima incompleta quest’ultima, che non riesce a quantificare pienamente i danneggiamenti alle imprese agricole da parte della fauna selvatica.
La Coldiretti è l’unica che riuscita a fare stime più o meno precise negli ultimi ani, fra le quali spicca quella del 2007 che certificava a 70 milioni di euro i danni in Italia causati dalla fauna. Sempre secondo l’Istituto, negli ultimi dieci anni la popolazione dei selvatici si è decuplicata, passando da 123.000 ad 1.000.000 attuale.
Le specie maggiormente dannose all’agricolturasono i cinghiale, i cervidi, la nutria, i lupi, i cani selvatici, gli orsi, gli storni ed i piccioni selvatici.
Circoscritte le specie maggiormente dannose, resta l’esigenza di rendere operativo un controllo faunistico, il quale potrebbe essere attuato attraverso un’ordinanza di protezione civile con il ricorso a vari strumenti, tra i quali: utilizzo di strumenti sonori e visivi per l’allontanamento, cattura con gabbie e reti, abbattamenti controllati ed eradicazione della fauna selvatica. Con tali strumenti sarebbe possibile effettuare un controllo faunistico inteso come contenimento numerico.
Ciò sopra descritto, però, non dice nulla riguardo la prevenzione. Infatti sarebbe importante prevedere quali siano le misure di prevenzione che le imprese agricole dovrebbero adottare, stabilendo anche quali misure finanziarie le Regioni decidono di adottare nel caso in cui si verifichino danni all’agricoltura. Le Regioni e gli enti preposti a risolvere questo problema, dovrebbero anche occuparsi delle aree contigue a quelle protette nelle quali è vietata l’attività venatoria, ma che sfuggono ad una pianificazione in termini quantitativi della fauna selvatica.
Riguardo gli ungulati ed in particolare ai cinghiali, sarebbe utile individuare le aree maggiormente popolate da questo selvatico, le aree destinate interamente all’agricoltura nelle quali non è ammessa la presenza di ungulati, e le aree dove è tollerata una bassa presenza di selvatici. Individuate tutte queste aree, sarebbe possibile portare avanti un discorso sulla densità ottimale delle singole specie che le aree stesse dovrebbero raggiungere, al fine di trovare un equilibrio tra la presenza della fauna selvatica ed aree agricole.
Circa il rapporto tra caccia ed agricoltura, va detto che si dovrebbe valorizzare il ruolo multifunzionale delle aziende agricole, promuovendo l’attuazione di misure di recupero e ricostruzione degli habitat naturali da parte degli imprenditori agricoli professionali, con le quali è possibile ripopolare la fauna selvatica. A tal fine, occorrerebbe prevedere che tutto il territorio agro-silvo-pastorale, incluse le aree della rete Natura 2000, sia soggetto ad una pianificazione faunistico-venatoria, indirizzata alla conservazione della fauna selvatica, anche attraverso una nuova regolamentazione del prelievo venatorio e la riqualificazione delle risorse ambientali.
In sostanza, ciò che si dovrebbe reaggiungere, è una concertazione tra attività venatoria, agricoltura e tutle ambintale, poiché tutte e tre compatibili tra loro. Esercitare l’attività venatoria in modo sostenibile, sia dal punto di vista culturale, sociale ed economico, darebbe un notevole contributo alla valorizzazione del patrimonio naturale, poiché essa contribuirebbe alla ricerca dell’aequilibrio tra fauna ed antropizzazione del territorio.
La ricerca e l’individuazione di nuovi strumenti di programmazione atti alla conservazione del territorio, consentirebbe la realizzazione di un circuito vistruoso tra imprese agricole ed attività venatoria, le quali insieme contribuirebbero, ad esempio, alla creazione di nuove opportunità dal punto di vista turistico. Senza fare voli pindarici, potremmo immaginare nuovi pacchetti turistici con i quali sarebbe possibile esercitare l’attività venatoria, in quelle aree dove servirebbe un prelievo della fauna selvatica in modo razionale ed equilibrato. Per peter attuare un piano di questo tipo, di nuovo, servirebbero dati aggiornati sulla reale situazione ambintale del territorio nazionale.
Da qui anche il richiamo non solo al contributo proveniente dall’attività venatoria, ma anche alla multifunzionalità delle imprese agricole, alle quali dovrebbe essere concesso una maggiore partecipazione alla realizzazione di nuovi piani atti alla tutela ambientale.
Infine, tutto ciò apporterebbe un notevole risparmio economico alle Province ed alle Regione, che ogni anno devono risarcire gli agricoltori vittime di danni causati dalla fauna selvatica. La crisi economico-finanziaria che il nostro Paese sta vivendo, dovrebbe indurre tutti noi a ricercare nuove strategie con le quali porre fine all’assistenza alle imprese agricole, ma rendere partecipe quest’ultime alla ricerca di una programmazione finalizzata alla tutela ambientale.
Oltre al desiderio, ci vuole il coraggio di risolvere e vincere le nuove sfide.