“Purtroppo ancora una volta siamo costretti, e sottolineiamo la parola costretti, a tornare sulla questione predatori. Lo facciamo a seguito di notizie emerse durante alcune trasmissioni televisive che, pur proponendosi di approfondire questa difficile condizione, a dir nostro, non tengono conto di alcuni aspetti fondamentali della questione: gli ingenti costi aggiuntivi che gli allevatori devono sobbarcarsi per poter lavorare.” Sono le parole di Claudio Capecchi, presidente Cia-Grosseto che fanno seguito ad alcune trasmissioni televisive dedicate alla predazione. “Come Cia–Grosseto abbiamo sempre sostenuto che la questione è particolarmente delicata e che le posizioni radicali, da qualsiasi parte vengano, non aiutano.
In questi anni abbiamo ribadito che i diversi mezzi di prevenzione, dal cane da guardiania alle recinzioni di ultima generazione, possono sicuramente rappresentare un aiuto contro la predazione, però quello che abbiamo anche evidenziato, perché ce lo testimoniano gli eventi quotidiani, è che nessun sistema è risolutivo. Ne consegue che l’allevatore, per poter sperare di continuare a sopravvivere, deve modificare il suo modo di lavorare: le pecore devono essere messe al chiuso la notte, mentre durante la giornata bisogna passare ad un pascolo assistito; il numero dei cani da guardiania deve essere congruo al tentativo di allontanare i predatori e gli stessi vanno controllati perché potrebbero essere una minaccia per chi attraversa la zona.
Tutto questo comporta degli interventi economici ingenti che quasi mai vengono considerati quando si affronta la questione lupo-pecora, come se fosse scontato che il pastore deve continuare ad investire economicamente per allontanare i predatori. Tenere le pecore al chiuso – spiega Capecchi -significa dotare le aziende di strutture più ampie che hanno un costo elevato perché devono garantire la tutela e il benessere dell’animale, aumentare il numero dei cani significa aumentare le spese dei mangimi e poi dobbiamo considerare la spesa per le recinzioni. Insomma ,oggi il pastore deve affrontare notevoli spese aggiuntive se vuol sopravvivere e questo a scapito del reddito aziendale. E’ stato calcolato, da Enti preposti e dunque non da Cia, che oggi ogni capo ha un costo maggiorato di circa 40 – 50 euro per pecora.
Un’enormità per il pastore che non potrà mai ricoprire tale esborso con la vendita dei suoi prodotti. Affrontare la questione predatori analizzando solo una parte del problema significa dunque fare demagogia; come Confederazione, riteniamo fondamentale che il tema venga affrontato in ogni suo aspetto senza mai omettere quali e quanti sono gli ingenti costi che devono sostenere le aziende per difendersi dai predatori. Consapevoli della complessità della questione– prosegue il presidente – abbiamo sempre evitato gli estremismi, siamo disponibili a dialogare con tutti e soprattutto abbiamo chiamato la politica a fare la sua parte.
Spetta infatti proprio alla politica individuare delle progettualità che consentano alle pastorizia di non morire; a noi, rappresentanti di tutti i pastori, qualunque sia il loro pensiero, spetta però il compito di illustrare la questione con onestà intellettuale, la stessa onestà che ci piacerebbe vedere ogni volta che si parla di questo argomento. Analisi parziali – conclude Capecchi -sono fuorvianti, creano diffidenza e scontri, non servono a tutelare la pastorizia e il reddito degli agricoltori, ma non servono nemmeno alla biodiversità e a garantire una sostenibilità ambientale.”