Digitalizzazione e sostenibilità: due concetti che la Fabbrica d’Armi Pietro Beretta è riuscita trasformare nei punti di forza di una nuova strategia, fondata sulla storia iniziata nel lontano 1526 e chiaramente proiettata al futuro. UNA COMBINAZIONE che sembra quantomai azzeccata visto che ha portato l’azienda di Gardone Valtrompia a ipotizzare una chiusura positiva del 2020 – «un anno difficile», dopo un 2019 con ricavi a 210 milioni di euro -, nonostante due mesi di fermo produzione dovuti all’emergenza sanitaria covid-19.
«Con la squadra dirigenziale abbiamo capito che anche una realtà storica, metalmeccanica e manifatturiera come la nostra, doveva sviluppare una nuova colonna vertebrale basata sul digitale e sui dati – ha detto il presidente, Franco Gussalli Beretta, durante un incontro con la stampa -. Oggi più che mai i dati sono diventati il vero fattore critico di successo delle imprese: li utilizzano per sviluppare linee di business che vanno dall’ottimizzazione dei processi produttivi, come l’industria 4.0, alla realizzazione di processi innovativi di servizio e di comunicazione al cliente.
I dati rappresentano l’asset più importante per le aziende di oggi e lo saranno ancor di più nel futuro, senza scordare il valore delle risorse umane». Proprio per questo, la fabbrica ha concretizzato il progetto «Beretta digital 500», finanziato con 5 milioni di euro di investimenti propri e altri 11 mln di euro (il 20% a fondo perduto), in tre anni, ottenuti dal ministero dello Sviluppo Economico. Il piano prevede una progettualità che consideri tutti gli aspetti: dalla «genesi» del prodotto fino al rapporto con il cliente («Attraverso l’interoperabilità dei dati, gli strumenti digitali hanno contribuito allo sviluppo della Supply Chain Integrata, migliorando il livello di servizio atteso dal cliente» ha spiegato la production planner Brunella Nassano), investimenti su giovani talenti di estrazione digitale (dal novembre 2015 ad oggi sono oltre 150 gli inserimenti che hanno portato i laureati a essere il 50% dei dipendenti) e partnership di alto livello nell’implementazione di strumenti digitali.
Fra i protagonisti c’è Marco Magnaghi, Cdo di Wavemaker: «Mai come in questo periodo è stato importante accelerare nell’adozione del digitale – ha detto -. Le aziende devono superare le barriere organizzative, sviluppare competenze e adottare le giuste tecnologie per raccogliere i dati degli utenti e proporre loro la migliore esperienza di contatto e di acquisto». LE INFINITE potenzialità di sviluppo nell’utilizzo dei dati sono alla base di Industry 4.0, e Beretta – Carlo Ferlito è il direttore generale; Daniele Bertoni il vice direttore generale – ha iniziato da tempo a sfruttare queste informazioni per migliorare ad esempio la progettazione delle armi. Con il virtual prototyping, creato dalla squadra di ingegneri guidati da Andrea Pasini si arrivano a creare fino a venti modelli virtuali della stessa arma prima che un solo disegno esca dal computer. Ma le preziose informazioni servono pure per orientare il marketing.
«Abbiamo lavorato per portare i clienti a far parte della fabbrica e realizzare prodotti sempre più vicini alle loro aspettative», ha precisato Alessandro Acerbis, responsabile marketing e comunicazione. Ma anche per creare servizi che fidelizzino la clientela di fronte a proposte a bassa frequenza di utilizzo (e quindi di acquisto). I dati raccolti in continuo servono a organizzare la manutenzione predittiva dei centri di lavoro. «Attualmente sono interconnesse 146 macchine. Il processo è visualizzato con mappe colorate che permettono di individuare a colpo d’occhio l’andamento di ogni area e dove è necessario intervenire», ha spiegato Calogero Spoto, responsabile del processo produttivo (che in Beretta vale 1500 pezzi al giorno).
A Gardone, inoltre, con la squadra di Emanuele Cecchel, è stato creato un modello matematico in grado di oggettivare l’estetica dei calci in legno dei fucili. Infine, ma non ultima, la sostenibilità. «Abbiamo lavorato sulla riduzione dei consumi idrici – ha illustrato l’environment manager Martina Stolfini -, di sostanze chimiche, solventi e anche di rifiuti. L’80% dei consumi energetici proviene da fonti rinnovabili e dalla cogenerazione» (Brescia Oggi).