Digiscoping – Ad amare la Natura siamo in molti, cacciatori e non. Ma, mi permetto di fare una suddivisione tra quelli che amano la natura (e che si dedicano a pic-nic, gite al mare, passeggiate nel parco) e quelli che della Natura sono proprio innamorati, e per essa son disposti a compiere delle vere pazzie. Ecco, è a quest’ultima categoria che è dedicato quanto segue. Reduce da una due giorni in compagnia di Riccardo Camusso, padre del digiscoping in Italia, porto con me alcune considerazioni circa una tecnica fotografica di cui, fino ad oggi, avevo solo sentito parlare. Posso dire senza indugio che il digiscoping è l’estuario in cui confluiscono le acque di due fiumi che sembravano non potersi mai incontrare, il punto di contatto di due mondi nati l’uno in contrapposizione all’altro: quello dei cacciatori e quello dei “tutto-fuorché-cacciatori” (chiamiamoli anticaccia, naturalisti, animalisti e così via). Insomma: la fotografia naturalistica in generale e il digiscoping in particolare, hanno compiuto il miracolo di far trovare gomito a gomito, sotto la stessa pianta, nella stessa nebbia, persone che per esperienze, sentimenti e mentalità sarebbero state destinate solo a scontri più o meno verbali. E invece eccoli lì, ottimamente attrezzati, l’uno con gli indumenti che lo accompagnano nei faticosi appostamenti di caccia, l’altro con accessori di estrazione più chiaramente sportiva, seduti e nascosti, gli occhi fissi nei loro binocoli, a cercare il medesimo animale, la stessa preziosissima scena. Entrambi mossi da un comune sentimento: l’amore per la Natura. Entrambi lì per lo stesso scopo: la conoscenza.
Il digiscoping documenta l’impossibile contatto tra il mondo umano, con i suoi limiti, la sua vista grossolana, i sensi intorpiditi dai mille stimoli della civiltà, e il mondo dei selvatici, i cui occhi scorgono impercettibili movimenti di piccoli lembi di pelle, il cui olfatto avvisa di presenze ambigue a centinaia di metri di distanza, le cui orecchie fremono a ogni rametto spezzato. Il digiscoping, utilizzando le lunghe focali e i telescopi terrestri, ha proprio questa possibilità: avvicinare il mondo all’uomo senza che questi s’intrometta, a distanza. Le distanze da cui si possono osservare e documentare gli animali, grazie alle moderne tecnologie, sembrano siderali, ma è soprattutto un aspetto a stupire chi si approccia a questo mondo: il dettaglio.
Questa tecnica fotografica permette di vedere (e, grazie alla documentazione, far vedere) dettagli degli occhi, dei peli, dei colori degli animali che nemmeno si potevano immaginare. Il cacciatore è abituato all’attenta osservazione dei selvatici poiché la valutazione del capo è forse la parte più importante dell’azione di caccia di selezione: comportamento, movimenti, caratteristiche somatiche, caratteri sessuali secondari, sono tutti elementi da valutare e osservare con attenzione. Nel binocolo però l’animale resta sempre separato, in un mondo che è al di là della lente, quasi piatto, e la colonna di aria che riempie le centinaia di metri che lo separano da noi sembra una barriera fisica, e per certi versi psicologica. Lo stesso animale nel “lungo” acquisisce una rotondità, una consistenza nuova, sembra di poter apprezzare la consistenza del manto, il vapore emanato dalle narici umide, l’odore dell’erba che sta masticando.
Il digiscoping rende carnale un contatto che prima era solo visivo. Questa esperienza porta con sè tutta una cascata di emozioni e conoscenze che valgono più di mille manuali letti e mandati a memoria! I dettagli che si possono carpire col “lungo” sono d’innumerevoli utilità: lo studio dell’etologia, di popolazioni di selvatici, i censimenti…le applicazioni non sono solo di natura puramente venatoria, sebbene questo tipo di risorsa sia stato invocato e applicato proprio in quell’ambito.
Certamente la padronanza di un cacciatore nel muoversi in ambiente naturale è inarrivabile per chi non frequenta i boschi con la stessa assiduità e costanza, ed è facile notare impaccio e incertezza nei movimenti dei “non-cacciatori”. Ciò che sconvolge è però quella luce, quella sete di vittoria, quella smania nella ricerca del selvatico, che accomuna entrambi con la medesima intensità. E allora si capisce che siamo davvero tutti uguali, sebbene in qualcuno sia più spiccato l’istinto da predatore e a qualcun’altro sia invisa la carne animale. Siamo tutti sensibili allo stesso richiamo, vibriamo allo stesso modo quando Madre Natura chiama. Cerchiamo la via per tornare alle origini, superando i danni che la (così detta) civiltà ha operato a discapito dei nostri sensi. La tecnologia ci viene in aiuto per avvicinare ciò che è lontano dai nostri occhi ma è molto, molto vicino al nostro cuore.