Ricordi di una caccia alla lepre da raccontare: l’entusiasmo non ha età e possiede fiato da vendere. L’avventura di Giacomo e del suo sacro graal: la lepre.
Ora che è arrivato il freddo, ricordare la calda apertura della caccia alla lepre di qualche anno fa non può che far piacere. Visto che la legna non basta per riscaldare questa stanza non mi resta che ricordarmi di quanto può essere esasperante il caldo e sul finire della stagione estiva del 2011 l’afa era davvero insopportabile. Solo 4 pazzi come noi potevano andare a caccia comunque: il gruppo dei soliti noti è costituito ancora oggi da me, mio figlio, mio padre e mio fratello; la famiglia al completo, e ogni giornata di caccia è una festa. Ne approfittiamo per allontanarci dalle donne di casa che sono le migliori che si possa desiderare, ma parlano, parlano, parlano sino allo sfinimento. Sicché anche quel giorno di fine estate, si è deciso di partire alla volta della caccia alla lepre, visto che da quando ho la licenza ne ho cacciate davvero poche. Insomma io e le lepri abbiamo un conto aperto, ma pare che loro non siano per niente spaventate da questo fatto. Quella mattina l’appuntamento era sotto casa per le 4 del mattino.
In fuori strada abbiamo raggiunto una zona collinare poco distante dai nostri terreni: il profumo di macchia mediterranea all’alba è intenso e gustoso. Vedo che mio padre, non più un giovanotto respira a pieni polmoni e mi domando quali ricordi stia inseguendo.
Chiudiamo la macchina, portiamo con noi i nostri cani e ci avviamo verso la zona di caccia normalmente piuttosto ricca. Si sono fatte le sei del mattino, vaghiamo come vespe impazzite ma non troviamo nemmeno uno straccio di lepre. Mio padre e mio fratello iniziano a sbuffare sintomo di un precoce abbandono della giornata di caccia. Per altro il caldo inizia a caricare e chi conosce la Sardegna sa bene quanto intenso e penetrante possa diventare. Alle undici del mattino il nostro carniere conta due pernici, uno sparato da me, uno da mio fratello. Per il resto l’umore è sotto le scarpe. Ci separiamo, copriamo l’intera collina e iniziamo a perderci di vista fin quando non sento mio figlio urlarci contro: pare che abbia avvistato una lepre. Non gli credo immediatamente: la macchia è alta e lui non ha mai avuto un grande spirito d’osservazione, ma visto che corre come un cavallino della giara e visto che mio padre e mio fratello sono spiaggiati sotto una vecchia sughera, poco intenzionati a proseguire, decido di non lasciare solo mio figlio. Non vorrei doverlo andare a cercare a Sassari.
Inizio a correre, se di corsa si può parlare. Il terreno che potrebbe sembrare pianeggiante è caratterizzato da una leggera pendenza che notoriamente è la croce dei cacciatori e dei cercatori di funghi, e la macchia mediterranea rinsecchita non facilita l’impresa. Poco male, non posso abbandonare proprio adesso: mi sentirei davvero vecchio tanto più che arrivato abbastanza in alto noto la lepre che avanza con una certa circospezione. No, non deve avermi visto nè sentito, e di mio figlio non vedo l’ombra. Come farebbe ogni buon padre mi dico che Fabrizio sa cavarsela da solo, e mi concentro sulla caccia.
La situazione è questa: io sono abbastanza lontano dalla lepre per poter sparare con successo, ma il terreno non mi offre nascondigli e per giunta i miei cani mi gironzolano attorno. Questo significa che la lepre si accorgerà di me a breve. Ci penso davvero poco, carico il colpo, sparo e naturalmente sbaglio. A questo punto la scena è da film western: la lepre si gira verso di me, mi guarda, io la guardo, lei fa dietrofront e scappa. Anche quando l’adrenalina è a mille rimango piuttosto realista e lo so che quella lepre con probabilità non sarà mai mia, ma la voglia di catturarla non la comando. A costo di prendermi un’insolazione decido di ridurre le distanze: ovviamente il mio obiettivo è quello di correre più veloce della lepre e per qualche minuto ci riesco. Il terreno non è congegnale alla mia amica, tanto meno a me ed entrambi siamo esasperati. Ogni tanto mi fermo, prendo la mira ma sbaglio sempre e mentre intravedo poco distante dei cespugli di rovi e cataste di pietrame penso che il sogno di catturare la lepre lo posso pure abbandonare. Finalmente Seven decide di aiutarmi: si tratta del mio setter, vecchiotto ma pur sempre efficiente. Corre, lo fa più velocemente di me e senza dubbio più elegantemente e prima che la lepre raggiunga i rovi decido di sparare un nuovo colpo. Non capisco se sia andato a buon fine anche perché inciampo immediatamente dopo su di un masso sporgente e mi spiaggio a terra.
Le imprecazioni in quel momento ci stanno tutte, sono solo, sono accaldato, e ho una sete che non si racconta: inoltre penso alla faticaccia inutile fatta. Immaginerai la mia felicità quando sollevando sguardo e busto vedo Seven che si dirige verso di me con in bocca la lepre. Quasi mi commuovo, mi rialzo, mi do una ripulita, e torno dai miei. Mi domando che fine abbia fatto mio figlio: inizio a preoccuparmi. Guardo a destra e a manca, lo chiamo ma niente. Lo trovo qualche minuto più tardi sotto la sughera con mio padre e mio fratello mangiando formaggio e bevendo vino. Alla faccia della gioventù!