Un concetto che non sa farsi strada
La Giornata Mondiale delle Zone Umide quest’anno intende focalizzare il benessere dell’uomo che queste aree inducono, un concetto purtroppo che ancora fatica a farsi strada nelle Istituzioni, in particolare quelle italiane. La Convenzione di Ramsar, il principale accordo internazionale per la conservazione delle zone umide, e nell’ambito della quale si celebra la Giornata, valorizza questi ambienti e prescrive agli Stati firmatari la tutela di queste zone e la loro conservazione nel tempo, in particolare come habitat per gli uccelli acquatici. Sebbene l’Italia abbia designato 57 siti Ramsar, è evidente che a livello generale ancora oggi scompaiono molte zone umide e diverse di queste non sono gestite correttamente secondo quanto prescritto dalla Convenzione di Ramsar.
L’importanza dell’articolo 4
Riportiamo per chiarezza i commi 2 e 4 dell’Articolo 4, sui quali vengono poi conseguenti alcune riflessioni:
2. La Parte contraente che, per motivi urgenti d’interesse nazionale, ritirasse o restringesse una zona umida iscritta nell’Elenco dovrebbe compensare per quanto possibile qualsiasi perdita di risorse di zone umide e, segnatamente, creare nuove riserve naturali per gli uccelli acquatici e palustri e per la protezione, nella stessa regione o altrove, di una porzione conveniente dell’habitat precedente.
Le Parti contraenti si sforzano, con la loro gestione, di accrescere le popolazioni di uccelli acquatici e palustri nelle zone umide appropriate.
Risulta quindi evidente che le Autorità italiane dovrebbero ripristinare le zone umide distrutte con altre nuove nelle stesse regioni o altrove, e gestire queste aree per fare aumentare le popolazioni di uccelli acquatici. Possiamo affermare che il ripristino delle aree umide distrutte o degradate nel corso degli anni non appare una priorità per le Autorità italiane, e per molti siti Ramsar la gestione non è correttamente indirizzata all’aumento degli uccelli acquatici.
I casi emblematici
Al contrario, è palese e dimostrabile, dati alla mano, che questo impegno sia stato realizzato dalla comunità dei cacciatori. Infatti, dalle Aziende Faunistico Venatorie dell’alto Adriatico e delle regioni interne dell’Italia settentrionale, ai laghi da caccia presenti in moltissime regioni italiane, solo la categoria dei cacciatori ha incrementato, quasi sempre a proprie spese, le aree umide esistenti e le gestisce per l’incremento delle popolazioni. Non è del resto un caso se nella sola Laguna di Venezia svernino più di 700.000 uccelli acquatici, dei quali più della metà si trovano nelle Aziende Faunistico Venatorie vallive e il loro numero cresce negli anni. Non è nemmeno un caso se nelle pianure interne di molte regioni italiane i cacciatori hanno incrementato il numero di uccelli acquatici in sosta e nidificazione in aree urbanizzate o coltivate in modo intensivo, attraverso la creazione di laghi da caccia o mantenendo gli habitat esistenti.
Prelievo venatorio sostenibile
Un dato incontestabile certificato in un lavoro scientifico dimostra che i cacciatori gestiscono un minimo di 25.000 ettari di aree umide, con risultati importanti di presenze autunno-invernali e di nidificazione. A fronte di un prelievo venatorio sostenibile svolto per soli 4 mesi l’anno, i cacciatori svolgono un insostituibile contributo a proprie spese alla conservazione degli uccelli acquatici, con dati scientifici che lo confermano. Federcaccia auspica che le Autorità e le Amministrazioni pubbliche recepiscano questo concetto, favorendo i cacciatori nella creazione e nella gestione di aree umide, nelle quali l’interesse venatorio, che nessuno nega, permette al contempo un uso sostenibile e la corretta conduzione oltre che la conservazione nel tempo di un bene prezioso di cui può godere tutta la società (fonte: FIDC).