“Cinghiali, lupi, cervi e caprioli sono in aumento esponenziale. Non può esserci una politica buonista nei confronti della fauna selvatica, ma un controllo basato sul contenimento e sui sistemi di prevenzione che, però, non possono essere solo a carico dell’agricoltore”. Così Lodovico Giustiniani, presidente di Confagricoltura Veneto, si è espresso a una lezione del master in amministrazione e gestione della fauna selvatica dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, con la quale l’organizzazione agricola ha stipulato una convenzione che prevede anche stage formativi nelle aziende per gli studenti. Giustiniani, introdotto dal direttore del master Marco Olivi, ha spiegato come il mondo agricolo sia sottoposto a ingenti danni causati dalla fauna selvatica, che negli ultimi anni in Veneto ha visto un’evoluzione preoccupante con l’introduzione di specie protette e un aumento esponenziale delle popolazioni.
I numeri parlano chiaro: nella regione i branchi di lupi sono saliti a più di una ventina, con più di un centinaio di esemplari, mentre nel solo territorio bellunese ci sono quasi 14.000 caprioli, 10.500 cervi e 7.000 camosci. E si stima che siano oltre 10.000 i cinghiali nel territorio veneto. “Il Veneto è un territorio fortemente antropizzato e la convivenza con la fauna selvatica è sempre più difficile – ha rimarcato Giustiniani -. Il Veneziano sconta l’invasione dei cormorani nelle valli da pesca. Nella pianura veneta i cinghiali arano i campi di mais e i vitigni. In montagna gli allevatori fanno i conti con i grandi predatori, che assaltano e uccidono il bestiame. I danni non sono solo alle aziende agricole, ma anche a prati, pascoli e al piano di riforestazione. Il lupo, con le politiche protezionistiche, perde l’istinto di sentirsi in pericolo e si inoltra sempre di più nei centri abitati.
La politica deve tenere conto che qualsiasi popolazione animale non può crescere all’infinito, ma va gestita in base alla pressione per evitare impennate numeriche e malattie pericolose. La caccia di selezione può avere una funzione importante per il mantenimento dell’equilibrio sul territorio, ma vanno adeguati anche gli indennizzi, che sono risibili e sempre in ritardo, anche con il rinnovo del piano faunistico venatorio, scaduto da parecchi anni, che deve includere una più incisiva politica di gestione e controllo della fauna selvatica. E pure gli strumenti di prevenzione non possono gravare solo sull’agricoltore”. Il direttore Marco Olivi ha annunciato un progetto dell’Università per quantificare i danni da fauna selvatica, in collaborazione con gli studenti. “Mancano dati reali per capire meglio quale sia la dimensione del problema – ha detto – e in base a questa adottare le necessarie misure.
Le risorse pubbliche scarseggiano: le guardie provinciali sono poche e pure la presenza del corpo forestale è in sordina. La fauna selvatica ha conseguenze non solo per l’agricoltura, ma ha riflessi indiretti su tutto l’ambiente. Se i lupi attaccano il bestiame, gli allevatori abbandonano i pascoli e quei luoghi si trasformano. Si perdono i prati e calano i caprioli. Cresce il sottobosco e aumentano i cervi. L’assenza dell’uomo crea una trasformazione del territorio”. Molte le domande degli studenti, che quest’anno sono 33 e provengono da ogni parte d’Italia (anche dalla Calabria e dalla Basilicata), per partecipare a un master unico in Italia, che ha l’obiettivo di formare tecnici per realizzare una gestione sostenibile della fauna selvatica. Una figura assolutamente necessaria in relazione all’amministrazione del patrimonio faunistico e più in generale dell’habitat, che deve possedere competenze in campo biologicoe in campo giuridico, senza trascurare gli aspetti etici, economici e socio-culturali.