Un interessante convegno dove si sono dibattuti temi caldi per le risorse naturali alla luce delle nuove realtà dell’agricoltura, del decadimento di vasti territori e del mutamento della fauna.
di Emanuele Tabasso
Ultimo giorno di febbraio, la primavera è ancora lontana e poco distante la neve è tanta: meglio partire per tempo a trattare un argomento che si è fatto scottante: il rapporto fra agricoltura e fauna selvatica. Premettiamo che un simile incontro organizzato a Cuneo sottende a priori una solidità concettuale a tutta prova, com’è nello stile del luogo e della gente a cui le ambiguità di pensiero vanno strette come le venticinque ore in una giornata. Unica previsione risicata quella del numero dei presenti: tanti, interessati, competenti da stipare un salone di cospicua capienza e molti a far coda all’ingresso.
Il titolo del congresso recita “Lupi, cinghiali, caprioli…e agricoltura – Una difficile convivenza” non per questo impossibile. Introducono i lavori Stefano Isaia, assessore alla caccia della Provincia di Cuneo, Oreste Massimino presidente Confagricoltura Cuneo, Claudio Sacchetto, Assessore all’Agricoltura, Caccia e Pesca della Regione Piemonte, figura di spicco il moderatore Pier Giuseppe (Beppe) Meneguz dell’Università di Torino. Trattano l’argomento con scientificità e senza pregiudizi Paolo Balocco, Amministrazione Provinciale di Cuneo parlando di “Fauna selvatica: problematiche e opportunità”, Vito Mazzarrone, Amministrazione Provinciale di Pisa, trattando “Caratteristiche faunistiche e venatorie della realtà agricola toscana”, ha inviato il suo lavoro Nicolas Jean, Fédération des Chasseurs des Hautes Alpes impossibilitato a presenziare da una nevicata che lo ha tenuto al di là delle Alpi, esponendo “Caratteristiche faunistiche e venatorie della realtà agricola delle Alte Alpi francesi”, Francesco Sorbetti Guerri, Università di Firenze, ha esposto un “Resoconto di esperienze dal 2009 a oggi con dissuasori ottico-acustici, recinzioni elettrificate e repellenti chimici”; di particolare rilievo la relazione di Marco Viglezio, Ufficio Caccia e Pesca del Canton Ticino, Svizzera, “Danni agricoli da ungulati in Svizzera: Ticino, Vallese e Grigioni”. Conclude i lavori Roberto Abellonio, Direttore Confagricoltura di Cuneo.
Condensando in poche righe i concetti espressi potremmo sottolineare come sia difficile da noi, specie in Piemonte e in modo particolare nella provincia di Torino, sviluppare un discorso improntato a una serena valutazione dei fatti, dovendo far i conti con una frangia di estremisti ideologici per cui la caccia semplicemente non dovrebbe esistere. Purtroppo contro costoro la ragione non vale: eppure tutti i lavori presentano constatazioni e progetti finalizzati alla coabitazione dell’agricoltura, componente e attrice primaria del sistema, con selvatici che oggi hanno preso il sopravvento su altri, vedi cinghiale, capriolo, lupo, nutria, aironi, cormorani e corvidi per citare gli epigoni, a confronto della lepre, starna e migratori, in netto ribasso: tutto ciò favorito dalla mutazione delle coltivazioni, dall’abbandono di vasti spazi un tempo abitati e coltivati, almeno come prati da sfalcio, al proliferare delle costruzioni. Gli esempi di quanto accade nelle due nazioni vicine mostra soluzioni del problema decisamente valide, con vantaggio degli agricoltori e della caccia, rammentando come entrambe le attività portino, alla fine dei conti, a un utile non da poco, anche la seconda che fornisce carne di altissima qualità, a costo ridotto, sempre che questi selvatici vengano tenuti lontani dalle colture e si cibino di quanto offre Madre Natura, senza intervento umano. E’ stato ben documentato come la mancanza di venazione, vedasi il piccolissimo Cantone di Ginevra, crei danni enormi all’agricoltura: è allo studio l’addebito di tali danni alle associazioni che hanno bandito la caccia, e ci pare pure giusto. Una sottolineatura dell’ottimo relatore Marco Viglezio, riporta come nella rifusione dei danni alla coltura della vite sia già passato il concetto di ripianare il mancato introito del vino in bottiglia, considerando che ogni azienda si regge economicamente sul fatturato generato dal prodotto finito, non solo da una parte di esso.
Lupo: il totem degli ultimi decenni. Innanzitutto è bene mettere da parte l’idea che non sia pericoloso per gli umani. La storia ne parla in tutt’altri termini e, volendo restare nel canale di studio, non esiste alcun argomento scientifico per suffragare tale insidiosa affermazione. Esiste per contro, e assai ben documentata, la perdita da parte dei tanti, ma tanti davvero, esemplari di questo canide della paura atavica dell’uomo: filmati e immagini documentano l’aggirarsi di lupi nelle borgate alpine e non pare giusto far correre rischi alle persone per la salvaguardia a oltranza di questo componente della fauna. In poche parole una regimazione tecnica sarebbe più che auspicabile, così come già avviene proprio nei due paesi a noi confinanti quando pastori con le loro greggi o abitanti dei luoghi alti non accettano più di restare in ostaggio di un’idea che, soprattutto a chi deve conviverci, pare quanto meno balzana e molto costosa. Senza contare a quanto ammonta il prelievo da parte di tale predatore in termini di ungulati selvatici, diversamente acquistabili da cacciatori paganti: questa semplice osservazione da noi scatena le reprimende dei protezionisti ad ogni costo che hanno considerato, fin dalle origini, il ritorno del lupo come il supporto più comodo per elidere la caccia mentre in altre nazioni è considerata una fruizione delle rendite che Madre Natura mette a disposizione. Visti i tempi calamitosi in cui viviamo può sembrare poco opportuno annullare una simile fonte di lavoro e di reddito opportunamente accordata con le colture agricole.