Una caccia antica e suggestiva quella da palco, che innalza l’uomo fin al cielo e regala emozioni indimenticabili.
Mai sentito parlare della caccia del colombaccio dal palco? Niente di strano se la vostra risposta fosse un bel no, d’altronde non si tratta di una tecnica venatoria praticata ovunque, ciò non toglie che sia comunque suggestiva, eccitante e consenta di dilatare l’attimo regalando emozioni indimenticabili al cacciatore.
Sta cadendo un poco in disuso specialmente per quell’atteggiamento sbrigativo che alcuni cacciatori stanno assumendo negli ultimi decenni: c’è poco tempo e va ottimizzato.
Ma questa non è la filosofia della caccia dal palco, che richiede lunghi tempi di preparazione e una predisposizione mentale non da tutti. Tanto per cominciare si deve montare l’impalcatura da elevare al di sopra di una pianta, ed il posto deve essere scelto con una certa perizia. Si dovrà trovare in un luogo di passaggio dei colombacci, ma anche dovrà essere presente un terreno propizio nel quale gli animali abbattuti cadranno, facilmente agibile per i cani che recupereranno la selvaggina. Naturalmente se il luogo si trova su di un terreno privato, come minimo dovrete richiedere il consenso d’utilizzo al proprietario e ci sarà inoltre da chiedere l’autorizzazione agli uffici provinciali con riferimento alla sezione caccia e pesca, che in condizioni favorevoli vi daranno il consenso a praticare la caccia detta da appostamento fisso ai colombacci. A questo punto si potrà impiantare il palco che dovrà essere ben fissato, in modo tale da poter resistere a qualsiasi imprevisto. Non dovranno mancare le scalette per raggiungerlo, una gabbia fissata al di sotto del piano la dove verranno messi i volantini da richiamo e la così detta palpa: il loro addestramento richiederà tempo e pazienza. La costruzione del palco è sostanzialmente la fase più difficile, e per impararne l’arte, mi ci è voluta una vita, perché in caso di appostamento mal montato, non è a rischio solo la giornata venatoria, ma anche la sicurezza del cacciatore. Montato il palco non resta che camuffarlo a dovere con fogliame e vegetazione, di modo che possa passare il più possibile inosservato.
In questa fase dovrete sistemare anche gli stantuffi nel luogo in cui verranno posizionati i piccioni da palpa, che sbatteranno le ali in caso di avvistamento, ovviamente se ben addestrati, e non dovrete dimenticare di fissare la rastrelliera. Si dovrà trovare nella parte posteriore del palco e ospiterà i volantini che avranno la funzione principale di avvistare i colombacci. A questo punto non resta che pulire l’area nella quale si prevede cadranno le prede, in modo da semplificare il ritrovamento del selvatico da parte dei cani e attendere il passo dei colombacci. Le giornate più divertenti le ho vissute con mio zio Cesare, che non si perdeva una giornata di caccia e delle volte mi portava con sé. A me spettavano tutti i lavori di pura manovalanza, ma nel momento della caccia, quando montavo sul palco e lo stavo a guardare silenzioso e affascinato, tutte le fatiche erano ripagate. Ricordo meravigliose distese di verde toscano, profumato di resina e salsedine distante, e ricordo quegli sciami di colombacci che ogni anno, tra ottobre e novembre, oscuravano il cielo per più di qualche secondo. Li si poteva ammirare in tutto il loro splendore, forti nel volo, dotati di petti possenti e di ali instancabili. Seguivano la scia verso ovest, ripercorrendo quel tragitto che anno dopo anno li portava in visita nelle nostre zone. I giochi si aprivano quando il volantino, legato alla zampetta con uno spago colorato che ne consentiva il riconoscimento, si avvicinava allo stormo selvatico.
D’altronde riconoscere quel capacissimo attore sarebbe stato difficile, con quelle ali sbiancate e con quella capacità adattiva sorprendente. Il volantino di zio Cesare, per lo meno il suo preferito, era un attore nato. Con il suo volo era capace di guidare a noi il branco, che quasi per incanto si fermava a riposare proprio a pochi alberi di distanza da noi, fra rami accoglienti e confortevoli. Ricordo ancora quella gioia infantile di zio, che quasi abbracciava il proprio fucile pronto a far fuoco. Era un’artista nell’aspettare il momento propizio, perché dar avvio alle danze troppo presto, me lo ripeteva sempre, era un errore fatale. Io non potevo far altro che stare a guardarlo perché ancora non mi era consentito di usare un fucile, eppure vivevo di riflesso le emozioni e le esperienze, immobile in quei momenti di pura adrenalina, come tutti i cacciatori presenti. Ad un tratto, con una sincronia stupefacente partivano i colpi e alcuni di quegli eleganti volatili cadevano, mentre il branco fuggiva via, spaventato, consapevole dell’inganno. Le giornate di caccia si concludevano sempre con me e zio che restavamo ad ammirare il volo dei colombacci che migravano altrove, salutandoli silenziosamente, sicuri che l’anno a venire avremmo rivissuto le medesime emozioni.