I cinghiali hanno devastato i prati polifiti degli alpeggi dell’azienda Nicoletta, in regione Rovarnero, a Settimo Vittone. L’imprenditore agricolo Jari Nicoletta, 42 anni, denuncia: «I cinghiali hanno devastato dieci giornate piemontesi di prati permanenti polifiti, da sfalcio e pascoli. Noi, come sempre, a metà aprile siamo saliti in alpeggio. Sin da metà maggio i cinghiali hanno grufolato la cotica erbosa. Poi hanno continuato a far danni per tutta l’estate, fino a oggi. Le incursioni dei cinghiali si sono intensificate. Hanno colpito i nostri prati, come quelli di tutta la valle. Siamo nell’Alto canavese, ai confini con la Valle D’Aosta». «Non amo lamentarmi – sbotta Jari Nicoletta –. Finché i cinghiali non erano tanti e grufolavano pochi metri quadrati di prati montani si poteva anche sopportare i danni e porre rimedio risistemando la cotica erbosa.
E così abbiamo sempre fatto. Ora però la situazione è sfuggita di mano. Lo confermano anche i tecnici del Comprensorio alpino, saliti a rilevare i danni. Quando piove dai prati grufolati nascono ruscellamenti che danneggiano i prati. Negli ultimi anni i danni dei cinghiali sono andati crescendo. L’emergenza coronavirus poi ha ulteriormente peggiorato la situazione». Jari Nicoletta prosegue: «I prati del nostro alpeggio si inerpicano su scoscesi pendii, dove pascolano i capi di Pezzata rossa valdostana. I bovini producono buon latte che il nostro caseificio cooperativo Nicoletta trasforma in formaggi vaccini a latte crudo freschi – i tomini, il reblec, le robiole, la crescenza – e stagionati – la toma rovarnerina, in onore dell’alpeggio Rovarnero, il quadrifoglio formaggio tipico taleggio con stagionatura in grotta o il grinch, formaggio a pasta dura stagionato 18-24 mesi. Produciamo anche latte biologico fresco pastorizzato, burro, yogurt, ricotta e salignun.
Tutti prodotti in vendita nello spaccio aziendale, nei vari gruppi di acquisto e nei mercati dei produttori a Rivarolo, Castellamonte, Pont Saint Martin e nel nostro agriturismo, La Ciuenda, qui in regione Rovarnero» «Noi siamo allevatori e trasformatori da due generazioni. Oggi in azienda, oltre a me, lavorano mio papà Mauro, classe 1957, mia sorella Alice, 33 anni, due dipendenti e una mano arriva anche da mia figlia Giulia, 17 anni, studentessa – spiega Jari Nicoletta -. Se oggi tornassero i miei nonni e vedessero questo territorio devastato dai cinghiali non so proprio come la prenderebbero…di sicuro non troppo bene. Vorrei aggiungere alcune altre cose.
Alla fine dobbiamo dirlo: i cinghiali non sono nati qui: sono stati introdotti e oggi la situazione è sfuggita di mano. Non se ne può più anche di certi discorsi dei cacciatori che ci vengono a dire che non gli conviene abbattere i cinghiali perché prendono solo 5 euro al chilogrammo della carne di cinghiali. Tutto questo mentre a noi le vacche a fine carriera, da macello, ci vengono pagate appena 1,20 euro il chilogrammo. Fatico anche a sopportare certi discorsi dei cittadini, ambientalisti da salotto, che si scandalizzano se i cinghiali vengono abbattuti, ma ignorano completamente qual è la reale situazione di noi che alpeggiamo». «Una cosa è certa e evidente – aggiunge Jari Nicoletta -. In questi anni qualcuno non ha fatto il proprio dovere.
Sul tavolo degli imputati io ci metto il Comprensorio Alpino, la Città metropolitana di Torino e la Regione Piemonte. Dico anche che i rimpalli di responsabilità e tutti gli scaricabarile – di uno che dice che è colpa dell’altro – non ci aiutano ad arginare l’invasione dei cinghiali. La realtà è che oggi i cinghiali sono troppi. Stanno mettendo a rischio l’esistenza dell’attività agricola. Non ci sono scuse che tengano – pochi selecontrollori, risorse insufficienti o mancato coordinamento tra enti -: se si vuole fermare l’invasione dei cinghiali bisogna abbatterli. E, per favore, stavolta facciamo in fretta…» (Fonte: Coldiretti).