Il territorio coltivato devastato dai cinghiali è ampio quanto la provincia di Asti, con danni stimati per 20 milioni di euro ogni anno. Provano così gli agricoltori che ieri sono scesi in strada con i loro trattori a spiegare il danno e le difficoltà che questi animali arrecano al loro lavoro. E non solo, non si contano gli incidenti stradali provocati da questi animali: «Ogni anno vengono denunciati 500 incidenti anche gravi, in aumento anche sulle strade dell’Astigiano» denuncia il comitato promotore della protesta, il Coaarp che riunisce gli imprenditori agricoli di tutto il Piemonte.
E che ieri 4 dicembre ha organizzato la protesta in numerosi comuni tra le province di Torino, Asti e Cuneo. Gli agricoltori con i loro trattori erano presenti ad Asti lungo i prati di corso Alessandria, a Villanova, sulla strada per Dusino, Carmagnola, Castelnuovo don Bosco, Villanova; Chieri, Chivasso, Moncalieri, Mondovì, Poirino, Riva , Santena, Trofarello. Cortei, presidi e striscioni per denunciare una situazione ormai insostenibile: «Le più danneggiate sono le coltivazioni di mais – lamentano gli agricoltori -, ci sono zone soprattutto nell’Astigiano dove non è più possibile coltivarlo».
Con danni che non si ripercuotono solo sull’agricoltura: «Il mais è il principale alimento utilizzato per nutrire il bestiame, se scarseggia vanno in crisi anche gli allevamenti». Stefano Gemello, a nome degli agricoltori, spiega: « Abbiamo manifestato al giro d’Italia perchè i nostri problemi fossero visibili e abbiamo in corso una petizione da presentare alla Regione. Chiediamo una gestione professionale di questa emergenza, che non può essere affidata solo alla caccia. Non tutti gli agricoltori sono cacciatori.
E non possiamo da soli risolvere il problema in autodifesa». Gli agricoltori spiegano di aziende costrette a chiudere, di giovani che avrebbero intrapreso questa professione ma che si trovano impossibilitati a lavorare. Oltre al mais i cinghiali devastano i campi di frumento, gli ortaggi, anche i peperoni. «Sono sempre di più e sempre più affamati, non c’è rete neppure elettrificata che li fermi. E in ogni caso non intendiamo trasformare il paesaggio rurale in un insieme di reticolati». (La Stampa)