Sui cinghiali basta Far West e basta lanciare cifre senza prima fare verifiche precise. Il coordinamento umbro delle squadre dei cinghialari replica alle associazioni degli agricoltori. “Come coordinamento squadre di caccia al cinghiale – sostengono in una lettera – riteniamo assurde alcune proposte, formulate da parte di presidenti e vicepresidenti di Atc che chiedono l’aumento (raddoppio) della tassa di iscrizione per i cacciatori allo scopo di trovare soldi per coprire gli indennizzi dei danni da fauna selvatica”.
Ribadiscono inoltre che a loro avviso c’è la “necessità di un piano di gestione discusso e condiviso tra tutti i soggetti interessati (istituzioni, agricoltori, ambientalisti, cacciatori), per giungere ad un progetto serio per il contenimento della specie cinghiale e conseguente riduzione dei danni. Occorrono stime verosimili della popolazione – dicono – anche mediante l’utilizzo di tecnologie. E’ necessario suddividere il territorio in tre fasce: vocato per la braccata, critico per le altre forme di caccia (singolo o girata da tre a sei), non vocato nel quale si interviene con la selezione”.
Infine chiedono “una filiera pubblica in cui gli animali abbattuti vengano venduti e il ricavato suddiviso in tre parti: 34% per i danni, 33% per seminare colture a perdere, 33% per l’immissione di selvaggina nobile stanziale nelle aree protette”. In definitiva una posizione molto netta su quello che è un problema che ormai si trascina da anni e che non riguarda soltanto il territorio della regione Umbria, ma in pratica tutto il Paese. Nell’ultimo periodo storico la popolazione degli ungulati è cresciuta in maniera notevole. Sono aumentati i danni che gli animali selvatici producono alle coltivazioni, ma anche il numero degli incidenti stradali che involontariamente causano (Corriere dell’Umbria).