Il territorio toscano, le nostre campagne e i più suggestivi paesaggi che rendono unica al mondo la nostra regione, sono anche il frutto del lavoro dell’uomo e della capacità dello stesso di plasmare con le proprie attività, un bene comune con rispetto, armonia, cura e conservazione dell’ambiente naturale.
Il Chianti, le sue colline, i boschi misti a vigne oliveti e cereali, rappresentano certamente una testimonianza di come da secoli, l’agricoltura ha saputo convivere ed adattarsi ad un territorio con la capacità di coniugare le giuste esigenze produttive con la bellezza dei luoghi.
Per queste ed altre ragioni, non saremo certamente noi cacciatori a voler aprire inutili polemiche o pretestuose conflittualità con il mondo agricolo sulla necessità, in taluni casi assolutamente legittima di difesa da parte dell’agricoltore delle proprie coltivazioni e dei redditi che da esse derivano. Da sempre la caccia è parte di un sistema di relazioni fortemente innervato con la ruralità e la buona gestione faunistica, può trarre forti benefici dall’operato dei cacciatori anche in tema di prevenzione e controllo delle popolazioni selvatiche e del loro impatto sui danni provocati all’agricoltura.
Oggi però, assistiamo ad un fenomeno che non sempre trova giustificazioni in questa complicata ricerca di un equilibrio tra ragioni diverse ma anzi al contrario, si nutre di presunte necessità per originare scempio del paesaggio e impraticabilità di fruizione non solo venatoria del territorio agro silvo pastorale.
Ci riferiamo al proliferare indiscriminato di recinzioni, piccole e grandi che sempre di più stanno “strangolando” larga parte del nostro Chianti e che presentano la faccia brutale di un “reticolato” difforme ed amorfo che appare più il frutto di una innaturale difesa verso gli “umani” e la loro presenza che non per quelle che potrebbero essere le giuste esigenze di prevenzione dei danni da parte della fauna selvatica.
Recinzioni di molti ettari, senza possibilità di attraversamento per la mancanza di cancelli o altri accessi, si susseguono nel territorio rimanendo fissi e perenni nel tempo anche in assenza di agricoltura attiva o frutto pendente.
Un grido di dolore ma anche un forte richiamo alle istituzioni è stato lanciato nelle scorse settimane dal Circolo ARCT/CCT di S.Casciano Val di Pesa(FI) con una lettera aperta inviata alle istituzioni locali, alla regione Toscana ed a tutti i soggetti interessati.
Un appello che nasce con lo scopo di sensibilizzare la politica e le istituzioni a farsi carico della gestione di un problema che oggi impedisce nei fatti lo svolgimento dell’attività venatoria ma che a sua volta genera sicuramente ricadute negative sul paesaggio, sulla bellezza dei luoghi e sulla cultura di chi vi abita.
Nell’articolato documento i cacciatori chiedono di valutare l’esigenza di una più puntuale e specifica normativa che garantisca le esigenze agricole ma anche quelle della fruizione venatoria e di tutti coloro che nel rispetto delle regole, vogliono godere dell’ambiente e del territorio.
Si richiede inoltre una maggiore rilevanza del ruolo dei Comuni e delle procedure autorizzative per evitare una proliferazione indiscriminata e ingiustificata di recinzioni più o meno grandi avendo estrema attenzione che anche le tipologie di recinzione e della stessa rete, consentano l’attraversamento della piccola selvaggina oltre a garantire idonei punti di accesso ai fondi interessati soprattutto in assenza di colture in atto e soggette a danneggiamento (fonte: CCT).