Munizioni da caccia. Poche cartucce commerciali nate nel secondo dopoguerra hanno avuto così ampi consensi che si incrementano, e qui sta il bello, con il procedere degli anni per cui chi caccia in montagna o in ampi spazi individua in questa splendida carica la risposta a diversi interrogativi.
di Emanuele Tabasso
Discettare sulla cartuccia 7 Rem. Mag. ci vede un poco timorosi perché, ben conoscendo la nostra predilezione, non vogliamo apparire agiografi di quel che ci piace in maniera particolare. Il primo incontro sulla carta risale alla fine degli Anni 60 quando il non dimenticato Giuseppe Gatto ne stilò la presentazione su Diana Armi: la nuova realizzazione di Remington aveva da poco conosciuto la ribalta dei terreni di caccia e l’estensore delle note l’aveva provata nella sua nuova Sako Finnbear, dotata di un vistoso rialzo posto sul dorso della calciatura, così da lucrare un postura eccellente per l’occhio.
La nuova 7 mm, misura aurea dei proiettili da carabina, si appaiava nei confronti di molte altre cartucce: alcune, pur eccellenti, rimaste allo stadio di progetto o di wildcat come usano dire gli statunitensi, cioè di giocattolo riservato a chi lo aveva studiato, senza trovare un’adozione che consentisse di sfondare sul mercato. Altre cartucce per contro avevano una storia da raccontare come le tedesche 7×64 di Brenneke e 7×66 VHSE, versione tuttora in auge della precedente 7×73 VHSE di ridottissima commercializzazione come la .280 Halger, oppure le americane .270 Win. o .270 e 7 mm di Weatherby, senza contare le non troppo diffuse, ma assai valide come la 7×61 Sharpe & Hart o la .280 Ross e ancora la .275 H. & H. che, nata verso il 1912 aveva già illustrato le magnifiche prestazioni di una 7 mm ad alta intensità. Sicuramente il grosso pubblico non era allora pronto a recepire il nuovo verbo e i tempi vedevano aprirsi scenari dove ancora il .30-06 Sprg. insieme all’8×57 IS, al 6,5×52 Carcano, al .303 British, al 7,62x54R tenevano banco con ben differenti e tragici utilizzi. E’ solo con lo spazio temporale aperto fra le due guerre che ci si dedica a fondo alla cartuccia dotata delle caratteristiche vantaggiose per le cacce future. Il concetto informatore poneva in lista diversi parametri e il primo collideva con lo stabile assetto mentale dell’americano medio per cui un calibro .30 è quel che ci vuole in ogni situazione: si passa infatti ai 7 mm sfruttando proprio gli studi che negli anni precedenti hanno posto in essere quelle cariche destinate a un specifico ambito, il tiro a lunga distanza su selvatici che vivono in spazi aperti dove l’avvicinamento, a volte, è quasi impossibile. Questa è la seconda motivazione con la terza appena seguente: il costo non dev’essere elevato così da irradiare verso un massimo numero di utilizzatori questo prodotto, calando ulteriormente i costi e aumentando le probabilità di vendita. Il quarto punto vede in gioco la balistica: precisione, costanza e varietà di pesi di palla sono parametri irrinunciabili.
Il bossolo cinturato è sempre una derivazione delle splendide .275 e .300 di Holland & Holland, ovviamente con gli adattamenti che gli studi più recenti di balistica interna e le nuove polveri hanno consigliato. Vediamo così il fondello caratteristico con la cintura, poi il corpo leggermente rastremato con un angolo di spalla pari a 25° e colletto di 6.9 mm su una lunghezza totale di 63,5 mm. I prodromi formali ci sono tutti e dicono di una cartuccia spinta, ma non esasperata, in grado di padroneggiare con autorevolezza proiettili tra i 120 e i 150 gr lanciandoli a velocità molto sostenute, con quella magnifica precisione che diventa una delle caratteristiche salienti e privilegiate, con la costanza che vede variare di pochissimo le prestazioni fra estate e inverno, e il costo che, salvo le ultime impennate di cui ringraziamo molto gli investitori sulle materie prime, si è sempre mantenuto in livelli molto abbordabili per quel che si compra. A maggior gloria di questa carica, osserviamo ancora come si possa adeguatamente farle digerire pesi di palla dilatati fra i predetti 120 gr e i 175 gr, ovviamente in quest’ultimo caso con riduzione della V/0 e della radenza, ma sempre raggiungendo picchi notevoli: l’ambizione del tiratore cacciatore nordamericano di far del plinking, del varmint o piuttosto impiegare lo stesso fucile per l’alce o l’orso è così soddisfatta. Purtroppo, si fa per dire, manca quella caratteristica sempre assai gradita agli appassionati a stelle e strisce rappresentata dai surplus militari: questa cartuccia non è mai stata impiegata dall’esercito quindi i benefici monetari godibili dalla messa in commercio dei lotti che hanno superato la data di scadenza non c’è. Pazienza diremo tutti, confortati da quanto comunque si può lucrare in ambito di ricarica. Senza voler dare dosi e consigli, segnaliamo di aver ottenuto i migliori risultati con polveri progressive come la Norma MRP e palle da 140 gr dal rilevante coefficiente balistico, come la Nosler Ballistic Tip o la Sierra Game King; per gli stessi tipi di proiettili, ma con peso di 120 gr, funziona bene la Norma 204 mentre con le Hornady A-Max da 162 gr, ottime per la lunghissima distanza, funziona la N/560 oppure la N/165. Tutte le Case producono questa cartuccia su differenti tipi di palla: avendone provate diverse dobbiamo esternare l’oramai endemica elevata quotazione, ma nel contempo rallegrarci per i risultati che si ottengono in V/0 e precisione, davvero encomiabili su tutti i fronti.
Nel corso di parecchi anni abbiamo avuto modo di provare questa cartuccia su svariati fucili e tutti si sono mostrati all’altezza della situazione: una breve cernita mentale ci fa ricordare come per primo sia apparso, oramai quarant’anni fa, un Ruger N.1 seguito poco dopo da un Sauer Mod. 80, poi un Mod. 90 che predilige le palle da 120 gr, ancora un Mauser Mod. 94, poco conosciuto e poco diffuso, ma con ottimi risultati anche sul bersaglio posto a 500 m, Remington 700, Merkel Helix, Blaser R93 e da ultimo un Rössler T6 tutti accomunati da prestazioni eccellenti per un’arma da caccia. Per sfruttare a fondo le possibilità è necessaria la canna con il caratteristico passo di 1/9,5” e lunghezza da 66 cm, fattore oggi non così usato quando si privilegia la maneggevolezza: che cosa cambi nella portabilità avere 5 cm in meno di canna ancora non ci è ben chiaro, ma se così piace così sia. Sta di fatto che si fa in fretta a ridurre le prestazioni a quelle di una cartuccia non magnum e quindi diventa inutile l’adozione di quel qualcosa in più che, a volte, fa la differenza. Leggere sul cronografo certe velocità, senza che nulla si ponga in situazione critica, è sempre una bella soddisfazione e l’esito sul bersaglio o sul selvatico non fa che avvalorare la convinzione che la letalità sia legata alla cessione di energia (tanta davvero) e allo shock idrodinamico. Il tutto passa attraverso il piazzamento della palla e la sua tipologia. Quelle che abbiamo indicato hanno soddisfatto particolarmente gli amici che le impiegano e noi stessi: d’accordo che a volte ci sia un paio di kg di ottima carne da lasciare alle volpi, ma continuiamo a preferire tale teoria e tale pratica con selvatici spenti sul posto, piuttosto che quella secondo cui va bene la passata, il sanguinamento e l’impiego del cane da traccia. Fossimo il selvatico voteremmo senza esito per la prima opzione.
Sulla radenza di traiettoria spendiamo qualche parola: era allora il fattore preminente per la caccia in montagna quando i telemetri erano…solo il Wild, di precisione approssimata, e i misuratori degli angoli di sito ancora di là da venire così come le torrette balistiche e il seguito fatto di optoelettronica. Tarando l’arma a 210 m si aveva un alzo massimo intorno ai 140 m pari a 4 cm e una caduta a 300 di circa 15 cm con palle da 140 gr come quelle sopracitate; con il cannocchiale a 6x, solo qualche spirito innovatore aveva già un Weaver 12x, e con gli occhi giovanili si lavorava bene fino ai 350 m, sfruttando angolo di sito, quota e radenza potendo mirare sempre dentro alla sagoma del camoscio. Sul cervo maschio sappiamo di cose egregie con crollo immediato anche poco sopra i 500 m agli ultimi momenti di luce dell’ultimo giorno di caccia. Per concludere diremo che la 7 Rem. Mag. è cartuccia polivalente per tutta la nostra selvaggina in ogni ambito essa sia, per quella del continente nordamericano, per una parte discreta di quella africana dove antilopi a pelle tenera, anche di buon peso, sono alla sua portata. La diffusione dei telemetri sopra citati spinge qualcuno a calibri di minor energia e radenza: per noi l’abbinamento fra i due elementi, sempre che non si paventi il rinculo, nemmeno poi così marcato, rappresenta una soluzione tuttora ottimale.