Cartuccia 9,3×62: I prodotti efficienti e razionali possono venire messi da parte per questioni commerciali legate sovente a nazionalismi, ma fatalmente vengono riscoperti quando la loro funzionalità diventa specifica in un particolare settore.
di Emanuele Tabasso
Inizio del XX secolo, ci si affranca dall’Ottocento e si entra nel 1900: da qualche decennio la scoperta francese della polvere infume ha dato il via a studi specifici per le cartucce animate da tale propellente con doti decisamente più funzionali rispetto alla vecchia polvere nera. Sono i tempi in cui le guerre europee e, scusate l’apparentamento, la caccia nelle colonie, almeno per chi le ha, funzionano da spinta incontenibile per gli studi di balistica. Gli inglesi sono padroni di una percentuale enorme del mondo, quella di maggior rendita ovviamente, e si sono resi protagonisti di uno sviluppo storico nei fucili e nelle cartucce: domina per la selvaggina pesante e pericolosa di Africa e India il concetto del proiettile lento e pesante, insieme, e va sottolineato, a cospicue dosi di energia, di letalità e di riguardo per chi spara: far stramazzare in contemporanea preda e cacciatore evidenzierebbe un progetto errato.
Nei calibri da express i figli d’oltre Manica sono padroni della situazione, ma nelle cartucce da carabina i tedeschi rintuzzano vivacemente i concorrenti, pur se i loro territori coloniali sono decisamente inferiori. Negli studi i sudditi del Kaiser sommano le esigenze di queste zone, insieme a quelle ben più congeniali e praticabili della vecchia Europa continentale, con i fucili a ripetizione: il movimento Mauser K98 ha iniziato a mostrare al mondo come si fa a contenere pressioni elevate con due, anzi tre piccoli prismi di acciaio. La cartuccia che esaminiamo nasce proprio all’alba del secolo, intorno al 1905, a opera del tecnico berlinese Otto Bock che individua nel diametro di 9,3 mm, già molto usato in Germania, la misura opportuna per i grandi cervi, gli alci dei territori prussiani, le più prestanti antilopi africane e pure elementi pericolosi come i grossi felini, siano leopardi o leoni, i bufali e quand’anche i pachidermi. La cartuccia gode già dell’evoluzione della polvere infume e dell’arrivo dei proiettili affusolati riscuotendo un notevole successo a partire dalle colonie come l’Africa del Sud Ovest, ponendosi quasi in parallelo con la .375 di Holland & Holland, un po’ meno potente, ma ugualmente dignitosa nel suo lavoro. Per raggiungere e superare nei numeri la fantastica inglese arriverà dopo pochi anni un’altra 9,3 mm, quella progettata da Wilhelm Brenneke con la sua lunghezza classica di bossolo pari a 64 mm. Tornando alla creatura di Bock e al suo ritagliarsi una fetta importante di mercato dobbiamo notare come le prestazioni equilibrate, un rinculo più che tollerabile, energia e capacità vulnerante apprezzabili si sposino sovente in quegli anni con le capacità dell’industria e dell’artigianato di fornire ottime carabine così camerate a prezzi che oggi definiremmo popolari. L’argomento monetario è sempre interessante e così cartuccia e fucili si diffondono con rapidità.
Cartuccia 9,3×62: Qualche dato e l’impiego odierno
Abbiamo ripreso alcuni dati proprio della carica della Fiocchi giunta da non molto tempo sul mercato individuando come, anche in canna corta da soli 51 cm, le prestazioni rimangano di tutto rispetto: la palla Soft Point Bonded, quindi a punta morbida e camiciatura saldata al nucleo interno, da 286 gr (18,5 g) realizza una V/2 media pari a 701 m/sec con SD di 9 m/sec ed E/2 di 463,3 kgm, un’entità appropriata per non generare un rinculo fastidioso mantenendo capacità lesive garantiste; questi poi i valori ulteriori in kgm con E/50 di 415, E/100 di 383, E/200 di 328. Un paragone con le altre tre cartucce tedesche da 9,3 mm rimaste sulla breccia vedrebbe in lizza l’antesignana, tranquilla 9,3x72R, sorella di altre cinque pari diametro differenziate dalla lunghezza del bossolo cilindro conico che andava dai 48 agli 82 mm: questa citata è l’unica ancora in produzione RWS e consente di sperimentare soprattutto fucili misti dell’epoca con notevole soddisfazione. Di ben maggiore caratura la 9,3×64 di Brenneke, già citata, un poco affaticante per il rinculo non propriamente leggero, ma dotata di energia (arriva a 640 kgm) e radenza da vendere grazie alle dimensioni del bossolo maggiorate e al proporzionale contenuto di polvere. Si torna a rese simili alla 9,3×62 con la 9,3x74R, grazie al collarino adatta ai basculanti e, anch’essa, tuttora sulla scena.
Da quanto riportato è facilmente intuibile come la carica sviluppata da Otto Bock si sia rivelata molto adatta ai semiautomatici rigati di attuale produzione e al loro impiego di elezione. La distanza di tiro è mediamente entro i 100 metri, sovente al di sotto dei 50, quindi la radenza è un fattore secondario e quella sviluppata basta e avanza anche per tiri più lunghi; l’energia sviluppata nell’ambito di tali metrature è numericamente eccellente (media fra 460 e 490 kgm) con il vantaggio della densità sezionale dei proiettili da 9,3 mm e peso dai 15,0 ai 18,5 g (232 – 286 gr) che, nei tipi a naso molle, cedono moltissima energia, creando tramiti importanti e assai lesivi; da ultimo e non ultimo il rinculo moderato grazie a un angolo di spalla non troppo accentuato, poco sotto ai 40°, una carica non esasperata e al cinematismo del fucile per cui la forza si sviluppa in un tempo allungato, senza picchi fastidiosi per la spalla del tiratore e per l’impennamento della canna, quindi con facile ritorno in mira. Una riscoperta dunque che fa giustizia di un lungo e immeritato oblio e un’applicazione oggi davvero calzante nella tipologia armiera specifica per la caccia al cinghiale.