Puntuale come ogni anno ecco che all’avanzare dell’autunno si presenta il rito della caccia al cinghiale: torme di specialisti si sguinzagliano insieme ai loro validi ausiliari a quattro zampe su per le balze degli Appennini, nei primi contrafforti delle Alpi, nei macchioni della Maremma, addentrandosi nelle forre piene di roveti per far uscire allo scoperto e quindi a tiro dei fucili, il setoloso e ruvido padrone dei luoghi, quel cinghiale che dà filo da torcere a tutti, uomini e cani, sovente beffandoli filando di gran carriera tra colpi sparati con tanta fretta e inseguito da innocui moccoli di vario genere. Ma non sempre questo gagliardo carrarmato di Madre Natura la sfanga senza pagare dazio: oramai uomini e mezzi, come si usa dire, si sono specializzati sempre più affinando capacità di tiro alla corsa e adottando fucili, calibri e proiettili perfettamente adeguati alle necessità. Entriamo appena sulla soglia della diatriba tuttora in atto fra chi predilige la canna rigata e chi la canna liscia: la balistica sta dalla parte del rigato per due motivi molto chiari che si riassumono nella frangibilità del proiettile contro un pur minimo ostacolo mentre quello da canna liscia gioca a rimbalzo, e poi nella superiore lesività e potere di arresto. Di qui diversi altri argomenti possono far pendere la bilancia dalla parte opposta e la loro validità è dimostrata dalla continua ricerca evolutiva delle maggiori Case del settore: i tedeschi con Brenneke e gli statunitensi con Remington, e da noi la Gualandi e la Fiocchi, solo per citare alcuni epigoni con parecchi altri non da meno, forniscono palle asciutte virulente e mortifere con ottima precisione alle distanze usuali di ingaggio del selvatico. Questo è un parametro da tenere ben presente: pleonastico sostenere la differenza di rosata fra rigato e liscio a 200 m o più quando il 99% delle situazioni vedrà l’ambito di tiro entro i 50 m.
Calibri e proiettili per il rigato
C’era una volta la cartuccia .30-06 Sprg. Possiamo iniziare con questo aulico dire la presentazione della cartuccia che più di altre si è diffusa fra i cinghialisti supportata da una serie di favorevoli fattori riassumibili in questa rosa: adeguate prestazioni, caricamenti originali con ampia scelta di palle, facile reperibilità, costi non elevati se si pone occhio alla scelta, primarie marche produttrici di semiautomatici così camerati, ricarica con pochi problemi. A corollario di quanto esposto si aggiunga un rinculo che, se non proprio mite, è comunque ben gestibile da chiunque non abbia fisime in proposito. Il verbo italico ha sempre privilegiato la palla da 180 gr quando una buona 150 o 168 gr, spinta a maggiore velocità, può stoppare più facilmente il selvatico grazie al fenomeno dello shock idrodinamico. Poi ognuno ha le sue convinzioni ed è bene che le mantenga: basta non dire nulla al verro e mettergli la palla al punto giusto. Su quest’ultima indicazione sta la base per portare a casa la preda.
Poi venne il .308 Win. Sempre con lo spirito storico esaminiamo la diretta filiazione della .30-06 Sprg. entrambe nate in ambito militare e poi, con minimi aggiustamenti per la seconda, passate nell’uso civile. La .308 Win. presenta un bossolo più corto della sorella, 51 mm contro 63 mm, contiene meno polvere, ma di diversa vivacità e si è imposta come una delle soluzioni migliori e più usate per il tiro di precisione UIT a 300 m. Questo fattore tocca minimamente la caccia al cinghiale per cui contano la possibilità di avere un fucile con castello più corto, si vedano i Browning BAR Long e Short Trac, con meno peso e un po’ più di maneggevolezza a parità di lunghezza di canna, e una virgola a favore nella funzione del semiautomatismo con il carrello che percorre una tratta di pochissimo inferiore. Stranamente a questa è sempre stata preferita la cartuccia più lunga: un motivo può senz’altro essere la maggior flessibilità nelle pressioni quando si ricarica, specialmente con proiettili sopra i 168 gr, lo standard per il .308 Win.
Anni addietro i BAR per primi cameravano sia il .300 che il .338 Win. Mag. due belle sberle che nel nostro panorama avevano creato, specie il .300, una sorta di assicurazione sulla cattura per cui anche altri fabbricanti s’erano adeguati. Poi ci si è accorti che la palla da 180 gr spinta a 950 m/sec aveva un’energia sovrabbondante con eccessive doti di penetrazione con palla poco deformabile o devastazione della spoglia con palla a rapida espansione, munizionioinsieme a un maschio rinculo e a un impennamento del fucile non favorevole al doppiaggio del colpo. Senza contare i costi di gestione: il compianto Pietro Colombano sottolineò a suo tempo l’esame proprio di un BAR in .300 Win. Mag. “bell’arma, degna di una rastrelliera high degree. Un po’ mangiasoldi…”. Le stesse cose, amplificate, si possono dire del .338 Win. Mag. dove tuttavia la maggior sezione di palla gioca a priori favorevolmente alla cessione di energia. Oggi i due calibri da noi sono meno diffusi trovando più sensata applicazione con i cinghiali dell’est europeo con stazza da due a tre quintali. Non va dimenticato un calibro piuttosto recente e poco conosciuto che si trova da Bignami: il .338 Federal nasce con facilità allargando il colletto della .308 Win. a quella misura cara agli statunitensi che vale da noi gli 8,5 mm. Montando palle da 180 o 200 gr la carica non esasperata coniuga nella media distanza una buona tensione di traiettoria, energia cospicua, pregevole potere di arresto e poi un rinculo padroneggiabile da chiunque così da poter doppiare o triplicare il colpo con facilità.
A volte ritornano e quando lo fanno aprono la porta al rimpianto per l’oblio in cui li si è lasciati: parliamo di calibri tedeschi messi in angolo dalla tambureggiante presenza degli statunitensi nei decenni dopo la II GM e il 9,3×62, messo a punto dal tecnico berlinese Otto Bock nel 1905, è fra questi. La destinazione primaria era per le colonie tedesche in Africa: una cartuccia non di vertice come la sorella 9,3×64 di Brenneke, ma impiegabile su carabine con meccanica e dimensioni della Mauser K98, dal rinculo contenuto in rapporto al lavoro svolto. Insomma non era la cartuccia con cui insidiare da vicino i pachidermi pericolosi, ma tutto il resto era alla sua portata: così non molti anni fa i produttori di carabine semiauto la inclusero nella gamma delle proposte. Il successo è stato rapido per queste ragioni: disponibilità di diversi caricamenti originali, prezzo più che abbordabile per alcune marche, rinculo meno imperativo che nei magnum con buona diluizione nel tempuscolo di riarmo, celere riacquisizione del bersaglio; fanno seguito poi una convincente cessione di energia grazie al lavoro della palla, usualmente da 18,5 g (286 gr), che assicura un ampio foro d’ingresso, i 9,3 mm fanno già la differenza sul 7,62 mm, un tramite con imponente cavità e un sostanzioso foro di egresso utile per l’eventuale ricerca con il cane da traccia.
Di pari passo sono giunti nuovamente al pubblico il 9,3x74R e l’8x75R: il secondo meno diffuso e usualmente camerato nei kipplauf, il primo decisamente valido per tutti i basculanti, in particolare per i due canne rigate parallele o sovrapposte. Anche qui le vecchie teorie balistiche sposano con favore le più recenti necessità della caccia al cinghiale: il lungo bossolo con minimo angolo di spalla mantiene pressioni basse e rinculo ridotto mentre la palla da 19 g, magari una TUG della Brenneke, non lascia incertezze sugli effetti di balistica terminale. Ancora nell’ambito di cartucce tedesche sono sempre validissime la 8×57 e 8×60 IS e IRS così come la 7×64 e la sorella a collarino 7x65R di Brenneke mentre sarebbe interessante che qualche azienda riproponesse la 8x65R, sempre dello stesso progettista: per le carabine lo stupendo 8x68S ha posto in sottordine l’8×64 che, tuttavia, da qualche anno è stato rimesso in produzione da Sellier & Bellot e alcuni fabbricanti di armi lunghe rigate lo ripropongono. Purtroppo le nostre pastoie burocratiche sconsigliano gli importatori di avviare le pratiche per averlo nuovamente in Italia, però un bell’express nell’8 mm di Wilhelm Brenneke ci piacerebbe assai.
Saltiamo ancora di là dell’Atlantico visto e considerato che circolano diverse semiauto della Remington camerate per il .35 Whelen: l’oblio, parlando delle nostre zone, ha colpito anche questa funzionale cartuccia basata sul bossolo del .30-06 Sprg. con il colletto allargato a .35” (8,9 mm circa): una soluzione che mette insieme rinculo contenuto e notevole letalità grazie ai parametri già esaminati con le 9,3 mm tedesche. Chi possiede una carabina così camerata se la tenga stretta: alla Paganini di Torino, importatrice del marchio con la R verde, dovrebbero disporre tuttora di prestanti cartucce originali. Ancora nel panorama statunitense vanno doverosamente citate la prima ordinanza per fucili a retrocarica, la ruvida .45-70 Gvt. usata nello Springfield Trapdoor, e una delle proposte recenti, di ancora maggiore prestanza, come la .444 Marlin: grazie al bossolo con collarino sono cartucce perfette per fucili basculanti a due canne e la ditta Redolfi di Manerbio (BS) propone un parallelo camerato proprio per la seconda, oppure nello specifico modello a leva a catalogo della Casa statunitense ideatrice del calibro. Nei tiri a breve distanza non si ha tema d’esser sottoarmati: il rinculo si fa sentire, ma l’adrenalina scatenata dal passaggio del cinghiale lo pone in second’ordine.
Le migliori Case come Brenneke, RWS, Norma, Hirtenberger propongono caricamenti con differenti proiettili, così come le Case statunitensi come appunto la Remington, la Hornady, la Federal, la Winchester e la Browning. Una nota specifica per la Fiocchi che nel .308 Win. e nel .30-06 Sprg. propone caricamenti con la palla Freccia Nera da 165 gr appositamente studiata per il cinghiale: il foro marcato nell’ogiva e la struttura interna assicurano una conveniente penetrazione e un altrettanto valida espansione. Per finire in gloria la Casa di Lecco ha studiato un sistema produttivo per stampaggio a cui fa seguito un prezzo molto favorevole e un rivestimento esterno che impedisce i depositi parassitari nella canna. Ci fermiamo qui solo per carenza di spazio, non certo di argomenti perché le cartucce da canna rigata utili per il cinghiale sono ancora parecchie: queste tuttavia sono attualmente quelle più usate e ad esse abbiamo fatto riferimento.
Chiudiamo i calibri da canna rigata con una nuova proposta di RWS vista all’IWA dello scorso anno: la cartuccia 10,3×68 con bossolo cinturato, spalla appena accennata a profilo convesso, palla ST basata sulla tecnologia dell’indiscussa H-Mantel con peso di 18,5 g. Il complesso promette mirabilia per ogni selvatico possente e di grossa taglia. Non fatichiamo a crederlo.
Calibri e proiettili per il liscio
Per chi ama cacciare la bestia nera con la canna liscia, sia in un due canne che in un semiutomatico, non c’è molto da scegliere quanto al calibro: i razionalisti scelgono il 12/76 in cui ben sovente impiegano le cartucce in 12/70, mentre chi ha qualche problema per il peso dell’arma e per il rinculo opta per il 20/76, anche qui impiegando usualmente le cartucce 20/70. Il motivo è presto detto: la funzione di queste cariche si affida all’energia ottenuta con il peso notevole del proiettile intorno ai 31 g per il calibro superiore e alla sua sezione di circa 18,2 mm, mentre la velocità, che rammentiamo gioca al quadrato nel computo, non è certo brillante in valore comparato con quanto espresso da una canna rigata per cui i valori si pongono in media a 440/470 m/sec e 750/850 m/sec. Va da sé che l’effetto shock idrodinamico non si raggiunge con la canna liscia, ma in compenso si provoca una lesione traumatica molto forte: tutto ovviamente entro distanze contenute.
La scelta di questa tipologia d’arma fa leva sull’abitudine d’impiego con munizione a pallini: la maneggevolezza viene al primo posto e, specie se si impiega un semiauto, una canna slug si acquista a prezzo contenuto, la si monta in un momento e la ridotta lunghezza rende il fucile ancora più pronto alla spalla e al brandeggio. Sul numero di colpi si ha la limitazione a tre e con un due canne ce n’è uno in meno, ma se non si deve far fuoco di copertura o compararsi con il Marco Benecchi detto “l’ammazzasette” (sul web circolano foto su un suo recente filotto che suscitano ammirazione per la bravura), ecco che un semiauto a presa di gas piuttosto che inerziale serve a meraviglia. Sulle cartucce c’è l’imbarazzo della scelta: in principio era la Brenneke, la palla asciutta per antonomasia, affiancata dalla Stendebach che molti non hanno mai visto. Questa era un cilindro spesso, cavo all’interno e in tale cavità sporgevano delle alette elicoidali ricavate di fusione: nell’idea del progettista avrebbero dovuto imprimere la rotazione necessaria a stabilizzare il proiettile. Poi s’è visto che tale fine era meglio assicurato dallo studio sul baricentro dinamico con massa davanti e spinta ben indietro: la spessa borra avvitata posteriormente ha tale funzione. Di lì si è passati a studi assai più elaborati sia della Brenneke che della Remington, solo per citare due epigoni, cui si è affiancata con soluzioni di vertice le nostre Fiocchi e Gualandi: la forma di quest’ultima palla e i suoi componenti, un intruglio segreto, una pozione sciamanica, scatenano una precisione straordinaria e una letalità tale che l’A.L.C. (Associazione Liberi Cinghiali) dirama ai suoi adepti i luoghi dove si usa tale ritrovato. Fuor di battute è un orgoglio tutto italiano di cui andare fieri. Come si può notare esaminando le ultime soluzioni la ricerca verte su una lega specifica, una forma funzionale alla precisione (quindi alla regolare uscita di canna), velocità congrua a determinare sia la precisione stessa che il potere di arresto dilatando, per quanto possibile, il raggio d’azione utile. Va da sé che anche in questo ambito esistano proposte con o senza piombo. A capo di tutte queste considerazioni sta la prudenza nella scelta e nell’impiego: un occhio di riguardo alle pressioni sviluppate e alla bancatura dell’arma toglieranno a priori i rischi di brutti incidenti. E già che chiudiamo con le raccomandazioni è bene ricordare di non mescolare mai i due calibri più usati riportati all’inizio del paragrafo: la primaria causa di scoppio della canna in un semiauto è data dall’introdurre inavvertitamente in un 12 una cartuccia del 20 che sparisce fino a incontrare il cono di pendenza fra camera e asta. Il passaggio successivo sulla via dell’incidente consiste nell’avvedersi di non aver la cartuccia in camera e infilarne un’altra, questa volta del 12, e richiudere il carrello otturatore. Nella migliore delle ipotesi si gonfia e magari si crepa la canna, ma nella peggiore un pallino percuote l’innesco della calibro 20 che allegramente deflagra là dove le pareti della canna sono già molto assottigliate. La cosiddetta mano debole lo diventerà molto di più, se ancora il chirurgo riuscirà a rappezzarla.
re dolfi non lo consiglia’ piu’ li mortacci tua e di tutti quanti! fanno ll’a’ monnezza!|!!! redolfi monnezzari!