Caccia al Cinghiale in Maremma: Cacciatori regolarmente autorizzati che oggi si trovano travolti da una discutibile interpretazione della norma. E in realtà la questione riguarda 600 o forse 700 trentini.
È apparsa in questi giorni, sia sulla stampa nazionale che sulla stampa locale, con più o meno esattezza nell’informazione, la notizia che 48 cacciatori trentini sono stati pesantemente sanzionati per aver esercitato la caccia in Toscana e persino denunciati. In alcune occasioni i cacciatori trentini sono stati descritti come “furbetti” in evidente mala fede… mentre la realtà è ben diversa.
Che siano state comminate sanzioni a dei trentini che hanno esercitato la caccia in Toscana corrisponde al vero, ma è altrettanto vero che costoro lo avevano fatto sulla scorta di regolari permessi rilasciati dalle autorità competenti in quella Regione e con regolare tesserino rilasciato dalla Provincia Autonoma di Trento.
La questione è invece che, al momento, non è ancora chiaro se queste autorizzazioni potevano essere legittimamente rilasciate o meno. Il problema è giuridico e nasce dalle difficoltà di coordinare le disposizioni della normativa trentina sulla caccia (Legge Provinciale n. 24/1991) con quelle della legge quadro nazionale (L. 157/1992) emanata un anno dopo.
Senza scendere nei complessi dettagli giuridici, possiamo dire che per un cacciatore di Milano o di Rovigo non è un problema cacciare anche in altre regioni, mentre per un trentino, secondo l’interpretazione restrittiva delle leggi che ha portato alle sanzioni citate, ciò non sarebbe possibile.
Nel caso enfatizzato dalla stampa, non si tratta quindi certamente di trentini furbetti a caccia di cinghiali in Maremma senza le necessarie autorizzazioni.. sperando di farla franca, come si è letto. Ma di cacciatori trentini che in perfetta trasparenza e buona fede hanno chiesto ed ottenuto laggiù un regolare permesso di caccia ed oggi si trovano a rischio di pesanti sanzioni, per via di un’interpretazione, peraltro già fortemente criticata, della legge. Legge che non è per nulla chiara.
In realtà il fenomeno è molto più ampio e riguarda diverse centinaia di trentini che negli anni scorsi hanno formalmente richiesto ed ottenuto permessi di caccia, in Toscana ed altre Regioni, pagato le tasse dovute ed esercitato l’attività venatoria in quei luoghi certi di essere perfettamente in regola. Oggi costoro sono al centro di accertamenti giudiziari (partiti dal Corpo Forestale dello Stato Presso la procura di Trento) hanno magari già ricevuto multe e ora vivono nell’ansia di vedersi persino sospeso il porto d’armi… per problemi di coordinamento fra la legge del Trentino e quella dello Stato.
Ancor più sconcertante è che nel “calderone” sono finiti persino i clienti trentini delle Aziende Faunistico Venatorie ed Agrituristico Venatorie nonostante la legge nazionale preveda invece espressamente detta possibilità.
Vista la complessità e ampiezza del problema è urgente ottenere una risposta definitivamente chiarificatrice, attraverso un’interpretazione autentica, che elimini il contenzioso alla radice.
In questo senso, l’Associazione Cacciatori Trentini si è da tempo mossa a livello nazionale, sia in sede politica che legislativa, raccogliendo una sostanziale disponibilità a risolvere questo equivoco normativo che mette nei guai tanti nostri cacciatori. Ci auguriamo che ciò possa avvenire in tempi molto brevi.
Sull’argomento abbiamo già pubblicato sulla Rivista Il Cacciatore Trentino n. 80 un’autorevole parere pro veritate del dott. Edoardo Mori, magistrato di Cassazione.
Gianpaolo Sassudelli
Presidente dell’Associazione Cacciatori Trentini