L’iniziativa di alcune Regioni come Veneto, Lombardia ed in termini diversi Emilia Romagna riguardante il tema delle “autonomie” sta scaldando il dibattito politico. E’ iniziato da giorni un vero e proprio pressing messo in atto da autorevoli esponenti della Lega sui Cinque Stelle, per concludere un lungo iter su un provvedimento che fa parte del contratto di governo. In buona sostanza si tratta dell’approvazione di tre documenti in attuazione dell’articolo 116 della Costituzione. In particolare si individuano criteri applicativi per le materie concorrenti indicate dall’articolo 117 della Carta Costituzionale, espandendo in molti casi, funzioni già oggi in parte esercitate dalla Regioni, come scuola, sanità, ambiente, territorio, rifiuti, protezione civile, rapporti con l’Europa, infrastrutture, demanio etc.
Nel concreto vi sono poi anche aspetti legati ad una profonda revisione dei sistemi di finanziamento che rappresenta l’altro snodo fondamentale delle proposte in campo. Tuttavia, aldilà delle questioni puramente legate agli equilibri che si articoleranno per la gestione delle future deleghe, non vi è dubbio che la portata politica di questa iniziativa va ben oltre. Si stanno scontrando infatti, due visioni ben distinte dei poteri dello Stato e del rapporto tra esso e le Regioni. Si ripropone in verità, un tema piuttosto antico, e che ha fatto parte del dibattito in tempi passati, inerente alla contrapposizione tra una visione sostanzialmente centralista che mira a concentrare poteri in capo allo Stato, e quello di una dimensione volta all’allargamento dei luoghi della decisione e della delega al territorio e alle autonomie locali.
Anche nel nostro caso, per i cacciatori, come probabilmente per l’intero comparto rurale, il centralismo spesso condito da una distorta applicazione delle Direttive comunitarie, può produrre gravi conseguenze e profonde ingiustizie per il diritto e la gestione del territorio. L’ episodio che proprio ieri abbiamo avuto modo di commentare, sulla presentazione di un emendamento alla Camera dei Deputati a firma di una parlamentare di LeU per conferire all’Ispra poteri assoluti ed inviolabili in tema di calendario venatorio, tempi e specie cacciabili, è forse la dimostrazione plastica di come in Parlamento si possano determinare scorciatoie pericolose che scavalcano il confronto con amministratori e cittadini. Sicuramente non è tutto oro ciò che luccica; anche nelle Regioni spesso si è assistito a scelte di governo discutibili e dettate da logiche politiche strumentali.
La raffazzonata riforma del rapporto tra Regioni e Provincie ha in molti casi finito per rappresentare un ulteriore aspetto negativo per la gestione della materia caccia e dei processi autorizzativi e gestionali. Forse è anche vero che nell’attuale battaglia che vede oggi alla testa alcune Regioni, vi siano dei lati oscuri da analizzare meglio per evitare che il paese si trasformi in un entità che viaggia a due o più velocità. Obiezioni giuste queste come altre. La cosa certa è che su temi di prospettiva come quello di cui sopra o sugli strumenti democratici come i referendum e le sue regole, non possiamo dimostrarci attori distratti ed inermi. Il mondo venatorio italiano ha bisogno di ricreare un pensiero alto e di prendere parte con orgoglio alla discussione sul futuro; una discussione che non possiamo delegare solo agli altri!