Caccia: A nessuno sarà certo sfuggito come la nostra Società stia vivendo un momento molto particolare, difficile se non drammatico, aggravato dalla pesante crisi economica che ha colpito l’Europa e il mondo intero, e dove il degrado di valori, la vana ricerca di nuovi punti di riferimento, ha azzerato o quasi la capacità di dialogo: tutto diventa immediatamente rissa, il confronto è conflitto, le urla si sostituiscono ai dialoghi educati e sommessi.
Questo succede in quasi ogni categoria sociale, nessuna esclusa, ma pare molto marcato per coloro che non è affatto insensato od eccessivo definire come “gli ultimi eroi”, quei figli della terra che con il sudore della loro fronte, e fatiche mal ripagate, forniscono beni indispensabili alla sopravvivenza umana: gli agricoltori.
Questi onesti lavoratori, e non a caso il loro settore è definito come quello “primario” dell’economia, non riescono più nemmeno a determinare i prezzi dei loro prodotti, decisi altrove e senza alcun riguardo verso il loro profitto: non è…petrolio il loro, e questi nostri amici non possono fare cartello per sostenere i prezzi, ma per tutti è altrettanto essenziale. Se non più!
Venendo alle ragioni di questa comunicazione, dobbiamo qui confessare il nostro stupore nell’aver appreso la ferma e dura presa di posizione assunta dal mondo agricolo, o quantomeno dai suoi principali rappresentanti, in riferimento al ricorso presentato al TAR piemontese dalla quasi totalità delle Associazioni Venatorie riconosciute contro il calendario venatorio, recentemente presentato dall’Assessore Agricoltura, Caccia e Pesca ed approvato dalla Giunta regionale in data 13 aprile 2015. Tale documento infatti, costruito senza minimamente consultare alcun soggetto interessato, risulta gravemente penalizzante per la nostra categoria, posticipando assurdamente l’apertura della stagione venatoria in Regione Piemonte, ma incide anche pesantemente sulle attività del mondo agricolo. La cosa curiosa è come da una parte si strepiti a chiedere l’intervento del cacciatore per contenere l’esplosione numerica delle popolazioni di cinghiale, mentre dall’altra si possa accettare il taglio di due settimane settembrine di caccia, e proprio quando gli animali risultano particolarmente invasivi e dannosi, con gran parte dei raccolti agricoli (mais e uva in primis) ancora da realizzare.
Al ricorso contro la Regione hanno partecipato anche molti ATC e CA piemontesi, ma altrettanti sono stati impediti a farlo proprio dall’ostilità manifestata verso il provvedimento da parte delle Associazioni Agricole che all’interno di ambiti di caccia e comprensori alpini eleggono ben sei rappresentanti, lo stesso numero dei cacciatori, e possono così risultare determinanti in ogni votazione legata a caccia o gestione del territorio.
Giova solo ricordare a tutti come la statistica delle ultime stagioni ci consegni dati inoppugnabili: nelle prime due settimane di caccia, con sei possibili uscite sul terreno, i cacciatori piemontesi normalmente abbattono una media di 2.500 cinghiali, animali che nello stesso periodo ora devasteranno campi e coltivazioni. Le domande sorgono dunque spontanee: gli agricoltori queste cose le sanno? Comprendono le conseguenze di queste loro decisioni? In attesa di una riposta, che forse non giungerà mai..
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