“Ora deve barrare la modalità di caccia prescelta”, lo sguardo severo della presidente della commissione di esame della licenza venatoria si posa sulla punta della penna che tengo sospesa a mezz’aria. “ZONA ALPI” mi occhieggia dal foglio. Abito a Novara, ai piedi del Monte Rosa, che con i suoi bagliori carmino illumina la desolazione della pianura coltivata a riso. La montagna mi guarda, mi protegge, mi chiama…ma poi ripenso alla Toscana, alle braccate al cinghiale, alle pittoresche colline dove caccerò insieme al mio compagno. Et voilà, la croce si pianta su “vagante in pianura” e così sia. Ma…la caccia in montagna, l’idea romantica ed eroica dei cacciatori di cervi e camosci che s’inerpicano sulle aspre cime, col fardello di zaino, lungo e (volesse il cielo) l’animale prelevato; l’idea di quelle albe spettacolari a strapiombo sul mondo, delle rocce che fendono il cielo come lastre di cristallo, di quei torrenti zampillanti, il pino mugo, le stelle alpine, la neve ovattata…non c’è che dire: per me la caccia in montagna resta un profondo desiderio. Parlavo con l’amico Francesco Giordano di queste mie fantasie venatorie e dopo qualche settimana arriva la telefonata. “Come sei messa con gambe e fiato? Ti sentiresti pronta insieme a Vincenzo ad andare a caccia in Val Cadore?”. Balbettai un “si” incredulo e gonfiai le ruote della bicicletta per prepararmi a vivere la realizzazione di un sogno.
Giunti a Laggio, frazione della più nota Vigo di Cadore, ci accoglie lo scenario di un presepe fuoristagione: tetti in legno, cataste di legname intarsiate come sculture davanti alle case, gerani ai balconi, profumo di strudel per strada. Il nostro gancio, guida e organizzatore di questi giorni, sarà Fiorenzo, titolare dell’incantevole ristorante-pizzeria Chalet Al Fogher e attivo segretario della Riserva Alpina di Vigo di Cadore. “Nella riserva siamo 37 soci. Abbiamo un territorio stupendo e ricco di animali” ci racconta entusiasta Fiorenzo a cena, la prima sera. Siamo appena arrivati e ci siamo appena conosciuti, lui sa qualcosa di noi e noi pochissimo di lui ma, sarà per l’amico comune Francesco o, per la comune passione, fatto sta che giunti alla grappa di rito parliamo a raffica come amici di lunga data. Ci raggiunge sul tardi Antonio, il presidente della Riserva, che accompagneremo l’indomani durante la sua prima uscita stagionale al cervo. Le tempie bianche e il morbido girovita di Antonio m’incutono un cauto ottimismo circa lo scarto di preparazione fisica tra noi “pigri” cacciatori di pianura e lui. Ci salutiamo presto per esser certi di onorare l’appuntamento delle cinque del mattino successivo. Prima dell’orario fissato siamo tutti sul posto. “Più tornanti facciamo in macchina e meno ci sarà da scarpinare dopo!” sogghigna fiducioso Vincenzo, mentre i due fuoristrada sgusciano agili tra le curve di montagna. Lasciate le auto ad una piazzola, c’incamminiamo lungo un ripido sentiero non segnalato, noto certamente ai soli cercatori di funghi e ai cacciatori.
Ad accompagnare Antonio c’è suo cugino Luigi, anch’egli socio della riserva e coetaneo di Antonio. I due montanari ci staccano con poche falcate di diverse decine di metri. La pendenza iniziale è importante, i nostri alpenstock ci sostengono da pericolosi barcollamenti, mentre il loro passo sicuro li proietta sempre più su e sempre più agili man mano che i muscoli si scaldano. Presto la salita s’infrange su uno scosceso dirupo da cui si domina tutto il costone di fronte. Per le due ore che stiamo appostati, non si vede l’ombra di un cervo. Soltanto una femmina di capriolo ci fa visita, e la mattinata, inconcludente, termina in un frugale pranzo alla baita dei due soci. Col sole ancora alto decidiamo per un’uscita serale. “Ieri Giovanni ha avvistato diversi cervi nella zona di Rioda. C’era anche il fusone che cerchiamo!” commenta Antonio mentre finiamo di lavare i piatti del pranzo. Una volpe dal folto collo rossiccio ci osserva dall’alto mentre cominciamo a salire. Ci addentriamo pian pianino in una zona declive, ai piedi di un colle che dirada ripido fino al prato in cui ci siamo appostati. Sembra di essere nell’arena e gli animali, come pubblico pagante, spiegati sui pendii che ci circondano a 360 gradi. L’erba alta ai piedi di un grande abete ci offre un minimo di copertura, la luce in declino, che non entra più nella conca, fa il resto. Il primo capriolo a far capolino nel tagliato alla nostra sinistra ci fa sobbalzare, ma per i cervi è ancora un po’ presto…
Una femmina di capriolo stava per affacciarsi sull’arena che ci ospita, ma il movimento di qualcuno di noi la blocca: come una statua di sale la capriola resta a guardare senza poter vederci per una manciata di minuti, mentre i suoi piccoli tentano qualche infantile piroetta ma sempre senza esporsi, incuriositi e allertati dalla posa plastica della madre. Dopo una lunga attesa prima che si faccia troppo tardi, Giovanni suggerisce a Luigi “Visto che i cervi non sono ancora usciti in questo pascolo, proviamo a fare un salto nella piccola radura dove li ho intravisti ieri”. Con passo felpato i due si allontanano binocolo in mano e orecchio teso. Antonio, nella remota ma auspicabile eventualità che, i cervi, mossi da loro due, possano venirci incontro, si prepara al tiro. Carabina poggiata sul bipiede e lo zaino sotto il calcio. Steso a terra, Antonio misura col telemetro le varie distante dai possibili punti in cui potrebbe fermarsi il cervo. Passano dei minuti col fiato sospeso: ci saranno ancora i cervi? E se dovessero scappare? Si fermeranno proprio laggiù davanti a noi? Riuscirà Antonio a mantenere il sangue freddo? Mentre ciascuno di noi segue il corso dei propri pensieri, la femmina di capriolo schizza via, fulminea. Nello stesso istante un rumore di zoccoli più pesanti, più veloci, più potenti, risuona nell’arena provenienti dalla nostra destra, in basso, dove si erano diretti Giovanni e Luigi. “Eccolo eccolo!” sussurra Vincenzo senza lasciare il binocolo, “è un fusone! Mammamia com’è grande!” commenta strabiliato.
Un poderoso cervo, che dalla stazza e dal portamento potrebbe essere tranquillamente un subadulto, se non fosse per acerbe stanghe in velluto che gli spuntano dal capo, sta correndo a tutto spiano lungo il crinale che risale verso la cima del colle davanti a noi. “Preparati Antonio!” incito io, in preda alla concitazione. Antonio si è già preparato da tempo e ha ingaggiato il fusone nell’ottica. L’animale però non ha la minima intenzione di fermare la sua corsa. “Fiuuu” Antonio fischia, ultimo tentativo di arrestare la corsa del cervo che sta già per scollinare. Quando mancano pochi metri alla fine della salita il fusone rallenta, in posizione perfetta. È il momento ideale per tirare. Antonio si rialza sui gomiti e toglie l’occhio dall’ottica. La delusione sui nostri volti è incancellabile. “Era contro cielo. Non potevo sparare…si è fermato troppo tardi…” commenta ad occhi bassi. Sul suo volto la delusione e la stizza di chi ha avuto un’occasione e non è riuscito a sfruttarla. Ma anche l’entusiasmo e la grinta di chi sa che la montagna, con i suoi tesori, chiede molto ma, a chi sa rispettarla, da tutto!