Io non commento, non so cosa farei al suo posto, in verità. Va considerato che Franco gode di un ottimo appoggio, di una grande esperienza e di una tecnologia puntuale e affidabile di altissimo livello: i presupposti per un tiro così ci sono tutti! Mentre tengo d’occhio il fusone, l’indice di Franco sfiora il grilletto corrispondente al calibro 7x65R del suo splendido bergstutzen. La palla compie la parabola prevista. Le zampe del cervo si piegano per poi andare a grattare il cielo. Non si è ancora estinta l’eco dello sparo che risuona quella dei tonfi delle spoglie del cervo. Stramazzando al suolo l’animale non ha trovato una superficie piana ma scoscese roccette incapaci di frenarne la caduta. Di balza in balza rotola giù per poi fermarsi nel letto di un ruscello, in un profondo e ghiaioso canalone.
“Waidmannsheil!” stringo la mano a Franco con profonda ammirazione. Mentre ci guardiamo negli occhi l’ombra delle difficoltà che ci attendono smorza i nostri festosi sorrisi. Svuotiamo gli zaini da tutto ciò che è superfluo: solo la reflex non può restare qui. “Risaliremo questo costone, per poi superare due saliscendi, quindi arriveremo nel letto del torrente e lo risaliremo fino al punto in cui deve essere caduto il cervo” mi spiega Franco. A parole sembra faticoso, ma nei fatti si rivela un percorso durissimo!
Ci muoviamo su pendenze quasi verticali, tenendo l’equilibrio con l’alpenstock. Superiamo alcuni passaggi molto “arei” che mi fanno letteralmente tremare le gambe, camminando su agglomerati di pietre instabili e insidiose. Giunti nel letto del torrente la Lea torna spesso sui suoi passi per incitare gli impacciati bipedi a raggiungere insieme a lei il fusone. La troviamo a vegliare le spoglie dell’animale con l’espressione fiera e seria che sembra voler dire “Questo è mio!”. Sul torace del cervo è visibile l’ingresso della palla che ha spezzato la spina dorsale, nonché i segni delle fratture riportate nella caduta, che ha infranto purtroppo anche il palco.
Trascinando le spoglie del cervo con le corde ripercorriamo a ritroso la strada, ugualmente insidiosa, ma resa più faticosa dalla stanchezza e dal peso. Al punto di avvistamento troviamo ad attenderci Francesco che (per fortuna, penso io egoisticamente!) non ha potuto prelevare il capo di camoscio assegnatogli e accoglie nel suo zaino la nostra attrezzatura. La discesa in paese è una scanzonata passeggiata tra verdi prati e boschi rigogliosi, di cui posso ammirare la bellezza alla luce piena del sole di mezzogiorno. La zavorra è pesante, la stanchezza è tanta, eppure sento le gambe leggere e ho un’incontenibile vitalità: sarà l’aria buona di montagna o, più verosimilmente, l’effetto delle emozioni forti condivise con un grande amico!