Fine ottobre, ponte di ognissanti. Quale modo migliore per festeggiare il mio compleanno e la mia ventesima licenza, se non con un weekend di caccia ai tordi, nella mia terra natia? Nel buio della notte dell’equinozio d’autunno mi reco nella zona vicino casa dove solitamente vado per lo spollo. Sono solo, senza appuntamenti e nessun dialogo da imbastire in queste ore surreali che i più dedicano al sonno.
La tramontana soffia da nord da qualche giorno, l’aria è fredda e frizzante, limpida e asciutta. Il cielo è ancora nero sopra di me, ma laggiù a est, dal mare, i raggi freddi e magnetici dell’alba iniziano a vibrare. A minuti anche qui la notte verrà spazzata via dal primo sole d’autunno.
Mi posiziono con alle spalle un ulivo. I suoi rami contorti e carichi di polposi frutti si piegano fino a sfiorarmi le spalle. Indosso gli auricolari che amplificheranno lo zirlo e mi proteggeranno dal rumore degli spari. Il freddo del fondello delle cartucce mi guida a pescare dalla cartucciera le prime munizioni. Alzo gli occhi sopra le cime degli alberi intorno a me e mi accorgo del contrasto tra il nero delle chiome e il blu profondo in cui si sta stemperando la notte, verso l’azzurro del giorno.
Non è un orario preciso, ma un fenomeno, un’intuizione, il momento fatale in cui si può veder schizzare il primo tordo dal bosco. Non è prevedibile nemmeno un minuto prima, è uno stato d’animo, di febbrile attesa, con le mani ghiacciate sul fucile e gli occhi puntati in alto, in attesa di uno zirlo che possa indirizzare lo sguardo. Il primo tordo vince sempre. Anche oggi. Poi altre frecce nere schizzano dagli alberi, rivolti a est, e i miei occhi non fanno che seguirli, mirare, e memorizzare la posizione in cui cadranno.
Sparo a una quindicina di tordi, nel giro di poco più di un’ora. Le piume che ondeggiano nell’aria e i tonfi degli animali caduti mi confortano dell’esito dei miei tiri. Conto undici tonfi, e altrettanti punti da memorizzare per il recupero. Ogni tanto rivolgo gli occhi in basso per cercare gli animali a terra, ma finché lo spollo continua è al cielo che presto maggior attenzione. Il sole intanto prosegue la sua ascesa, spandendo luce e colore alle colline.
Quando è giorno pieno la magia si arresta, e il bosco smette di sputare via gli alati doni di cui mi ha omaggiato fin ora. Il soffio freddo e sottile della tramontana fa vibrare le piccole foglie argentate dell’ulivo. Guardo con la luce l’albero, non tanto anziano che avevo alle spalle. Faccio mente locale e mi rendo conto che io e lui, stagione dopo stagione, spollo dopo spollo, siamo cresciuti insieme.