In un contesto razionale (non solo emotivo o, peggio, speculativo), tutto il territorio andrebbe monitorato e, conseguentemente, “gestito”. Globalmente ( è di moda, no?). Ivi compresi, quindi, tutti i componenti. Compresa la fauna selvatica. Con il coinvolgimento (attivo e tecnico) di tutte le categorie interessate, coordinate dalle istituzioni. Che senso ha, infatti, “proteggere” – in senso negativo o passivo, ossia non “controllando”, una certa specie, soprattutto se invasiva, in un nucleo territoriale circoscritto ( parco, oasi, riserva biogenetica ecc., ovviamente, per taluni, un “ sancta sanctorum”, per altri una …..inerzia assurda, inutile, dispendiosa e pericolosa) , rendendo così vano anche il “controllo” effettuato all’esterno, con i relativi dispendi di energie e risorse?
Gli esempi non mancano. Ne citerò uno che ho vissuto appieno personalmente. Nella seconda metà del secolo scorso ( non è una eternità!), proveniente dal Parco Nazionale del Triglav (Slovenia, allora ancora Yugoslavia) scoppiò nell’estremo Nord Est e precisamente nella “Foresta di Tarvisio” ( e di conseguenza nel territorio gestito dalla Riserva di caccia di diritto di Tarvisio/Malborghetto) la rogna sarcoptica del Camoscio, che decimò la specie (morì il 90-95% della popolazione), senza che noi cacciatori potessimo intervenire efficacemente. L’epidemia interessò tre Paesi : Austria, Slovenia ed Italia e, più precisamente, Carinzia ( Caravanche), Slovenia ( Triglav) e Friuli Venezia Giulia ( Alpi Giulie e Carniche).
Immediato l’interesse del Corpo Forestale dello Stato, che gestiva la “Foresta di Tarvisio”, della Riserva di caccia, delle Università di Lubiana, Vienna, Padova e Torino. Si delinearono subito tre tendenze: per gli Austriaci, individuare e isolare i focolai e creare tutt’attorno terra bruciata ( per impedire o tentare di impedire l’espansione dell’epidemia ); per gli Sloveni, abbattere ovunque ogni capo sospetto; per gli Italiani, lasciar fare alla natura! Risultato? L’intervento austriaco fu esteso su tutto il territorio interessato; idem per gli Sloveni ( gli abbattimenti, tra l’altro, furono opportunamente monetizzati); da noi, vietato intervenire al di là del normale prelievo e limitatamente al territorio riservato. Anzi, meglio ridurre anche il prelievo normale! Chissà perché!
Ancora oggi da noi il Camoscio fatica a riprendersi totalmente. In Austria e Slovenia la situazione pare normalizzata. In ogni caso per noi, cacciatori tarvisiani, oltre all’amaro in bocca per non poter offrire tutto l’appoggio necessario ( e immediatamente offerto!) nella circostanza, un amarissimo per vedere distrutta una popolazione di oltre duemila Camosci, dopo tanti sacrifici e rinunce per collaborare alla crescita quantitativa e qualitativa della popolazione|.
A fianco di questo avvenimento, nella ricerca di possibili cause e rimedi della/alla epidemia, c’era chi era convinto ( e non per pruderie) che possibili vettori potessero essere anche i vasti piani in atto di ripopolamento di Marmotte.
Ma non è per questo che, dopo il preambolo, mi accingo a sostenere che anche la Marmotta, come lo Stambecco, andrebbe prontamente reinserita nella lista delle specie cacciabili.
Ripeto, tutti i selvatici, a mio avviso ( e non solo mio ) andrebbero “gestiti” , su tutto il territorio.
In tutta la Slovenia, ad esempio, puoi prendere l’Orso e la Lince, in Austria il Gallo Cedrone ed il Gallo Forcello al canto, in primavera, nonché il Francolino di Monte, in Svizzera lo Stambecco e la Marmotta. E noi? Noi, no! Noi stiamo a guardare. Ci chiamassero almeno a sfoltire la Capra di Montecristo!
La Marmotta ( già nota all’epoca di Plinio, che la definì “Mus alpinus”), in montagna è sempre stata cacciata: per la carne, per la pelliccia e per il grasso. La carne è buona, come tutta la carne di selvaggina. Nello specifico, andava trattata per limitare il residuo sapore di tana; la pelliccia era molto ricercata per ovvi motivi di abbigliamento; il grasso era ( e pare sia), tra l’altro, al centro di un grosso affare: in Svizzera nel 1946 si abbatterono ben sedicimila Marmotte per il loro grasso, il “Mankeischmalz”, molto usato nella medicina popolare, ma anche pubblicizzato per i suoi poteri terapeutici, nelle affezioni bronchiali e polmonari e per le sue virtù antireumatiche! Forse si collegava il potere magico del grasso di Marmotta al fatto della vita dell’animale in tana, riuscendo a sopravvivere al freddo, alla fame e all’umidità. Sta di fatto che poco tempo fa, richiesto del perché si provvedesse ancora all’abbattimento di Marmotte nel Parco Nazionale austriaco di cui era responsabile, lo stesso giustificò l’evento con la necessità di soddisfare la domanda di grasso!
Per quanto attiene alla “gestione” di questo selvatico, dobbiamo anche tenere presente che la Marmotta è un roditore e, come tale, soggetta a improvvise crescite della popolazione, favorita dalla vita di comunità e dalla forte socialità, dal continuo contatto. Due o più, sino a sette i piccoli all’anno : la crescita delle colonie è garantita. Ma è garantita anche la rapida diffusione delle possibili malattie, quali la peste bubbonica ( e la rogna sarcoptica ? e la rabbia silvestre?), favorite ancora dal letargo invernale e quindi dalla stretta convivenza .
Questo rapido susseguirsi di crescite e cali della popolazione ha un impatto altalenante sulla alimentazione dell’Aquila, principale predatore della Marmotta. Che nei periodi di magra si scatenerà inevitabilmente sui Tetraonidi, sulla Lepre variabile o sulla Pernice Bianca !
Due famosi scienziati, Frank e Zimmermann, hanno sostenuto, al riguardo, che “ la morte dei singoli animali avviene tanto più all’improvviso e contemporaneamente, quanto più elevata è la densità della popolazione”. Che andrebbe, quindi, “gestita”.
In base a tutte queste considerazioni, in particolare alla limitata longevità dei singoli animali, alla diminuzione dell’indice di natalità in funzione della densità e di mortalità durante l’inverno, fattori che rendono altalenante la popolazione delle Marmotte, e, di conseguenza, oltremodo impattante negativamente sui Tetraonidi, oltre ai danni ai prati-pascoli nella costruzione delle tane, che tanto fanno infuriare i pastori all’alpeggio, non si capisce la riluttanza del reinserimento della Marmotta nella lista delle specie cacciabili, auspicata e giustificata anche da quell’illustre tecnico che è il Dottor Marco Giacometti.
Chiudo citando quanto scritto dal Prof. Mario Spagnesi e dal Dottor Silvano Toso, dell’INBS”A.Chigi” (“Evoluzione recente della situazione faunistico-gestionale in Italia” – Atti del II^ convegno nazionale dei Biologi della selvaggina-1991 ) : “Ci sembra debba essere valutata la possibilità, sollecitata dal mondo venatorio, di una nuova inclusione della Marmotta nell’elenco delle specie cacciabili, che dovrebbe essere presa in considerazione solo nel caso in cui fosse possibile, nella prassi gestionale e non solo dal punto di vista teorico, un prelievo conservativo e comunque dimensionato alla densità e alla dinamica delle popolazioni locali”.
Weidmannsheil!
Goffredo Grassani.
Caro Grassani da cacciatore condivido pienamente quanto da lei sostenuto, purtroppo però sembra che solo noi cacciatori vedono l’evoluzione di quanto succede in natura.
Nessuno o quasi di quelli contrari alla caccia, compresi i politici che presentano proposte di leggi sulla caccia, conoscono il significato della Densità Agro Forestale, peggio ancora la Densità Biotica di una specie.
Sono anni che inascoltato dico che la Marmotta e lo Stambecco, andrebbero inseriti nella caccia di selezione con il prelievo magari anche solo di pochi capi ma bisogna iniziare,(come avviene nella vicina Svizzera !)
Che l’Aquila ed il Lupo sull’arco apino hanno oramai raggiunto il massimo del loro DAF, che bisognerebbe inserire tra le specie cacciabili il Gracco alpino e il Corvo Imperiale, queste specie quanti danni stanno creando alla tipica alpina ?
Bisogna volenti o nolenti mettere mano alla 157/92, legge oramai obsoleta per i tempi attuali, ed adeguarla alla situazione attuale della fauna selvatica.
Purtroppo noi siamo cacciatori e se facciamo delle proposte sensate di modifica dell’elenco delle specie cacciabili siamo di parte.
Weidmannsheil
Ferdinando Ratti
Presidende provinciale Italcaccia Como – Lecco