Roma, 14 marzo 2023 – Il mondo venatorio, da tempo impegnato in un percorso di rafforzamento del proprio ruolo in chiave più etica e sostenibile, è in grado di generare un valore di circa 8,5 miliardi di euro annui per la collettività in termini economici e ambientali. È quanto emerge dallo studio “Il Valore dell’Attività Venatoria in Italia”, curato da Nomisma e presentato oggi all’interno di un momento di confronto organizzato da Federazione Italiana della Caccia presso il Senato della Repubblica, nella prestigiosa sede di Palazzo della Minerva. La ricerca prodotta da Nomisma è stata sviluppata partendo dalla necessità di individuare le possibili traiettorie di sviluppo del comparto in un’ottica di maggiore sostenibilità, ma anche di quantificare gli effetti economici, sociali e ambientali generati dall’attività venatoria in Italia. L’indagine ha coinvolto direttamente stakeholders e Comunità per cogliere anche alcuni gap di conoscenza che riguardano il settore.
La percezione dei consumatori italiani
Lo studio propone un approfondimento sui consumi per comporre un quadro di riferimento quanto più possibile completo ed esaustivo, in grado di dimensionare anche le ricadute economiche.
Partendo dai consumi, ad esempio, lo studio rileva che tra i 45 milioni di maggiorenni che si nutrono di carne il 62% consuma anche selvaggina. Nella maggioranza dei casi si tratta di un consumo che avviene prevalentemente fuori casa (nel 39% dei casi al ristorante). Queste interessanti prospettive per la filiera alimentare della selvaggina sono rafforzate dal fatto che ben 23 milioni di consumatori italiani (il 51%) si dichiara pronto ad acquistarla per consumo domestico se fosse di più facile reperimento.
Gli intervistati, inoltre, risultano particolarmente attenti e sensibili nell’attuare comportamenti sostenibili nelle proprie scelte alimentari. Rispetto alla carne acquistata, il 72% ritiene molto importante il fatto che presenti meno rischi per la salute e il 70% che provenga da una filiera tracciabile. Inoltre, il rispetto del benessere degli animali e dell’ambiente è ritenuto condizione imprescindibile dal 64% del campione, così come il 61% degli intervistati è attento al fatto che la carne non provenga da allevamenti intensivi. Il 47% considera importante che la carne acquistata sia naturale e provenga da animali selvatici e non di allevamento.
Rispetto al livello di conoscenze dell’attività venatoria va però sottolineato che di base è presente una forte disinformazione tanto che ben 2 italiani su 3 si dichiarano non sufficientemente informati sulla tematica e solo 1 intervistato su 10 afferma di conoscere appieno norme e disposizioni che ne regolano l’operato. Rispetto ai soggetti dai quali gli italiani vorrebbero ricevere informazioni, il 60% degli intervistati individua gli enti pubblici come realtà autorevole e adeguata a fornire tali informazioni.
La valorizzazione ambientale e sociale della caccia
A partire da una consultazione dei principali stakeholders, lo studio Nomisma ha potuto raccogliere i diversi punti di vista di un ampio parterre, fondamentali per consolidare la fase di valutazione economica, effettuata attraverso analisi, raccolta ed elaborazione dati, finalizzati a determinare anche gli effetti generati e potenzialmente generabili dall’attività venatoria nei confronti dell’ambiente, mondo agricolo e socio-sanitario, comunità ed economia nazionale.
L’attività venatoria, grazie alla salvaguardia di risorse ecosistemiche, complessivamente è in grado di produrre un valore monetario per la società stimabile in quasi 8,5 miliardi di euro. Più nel dettaglio, la caccia è in grado di generare 708 milioni di euro di valore naturale grazie alle attività esercitate per il mantenimento delle aree umide e degli habitat e, in particolare, verso la tutela delle aree naturali protette rese possibili grazie ai finanziamenti del mondo venatorio. A questi si sommano 20 milioni di euro di valore agricolo derivanti dalle spese sostenute dagli Ambiti Territoriali di Caccia per risarcire gli agricoltori dai danni provocati da alcune specie selvatiche e/o per adottare relative misure di prevenzione. Sono invece 75 milioni di euro i risparmi che derivano dalla riduzione dell’impronta ecologica e idrica prodotte dalla filiera della carne grazie alla sostituzione della carne da allevamento intensivo con selvaggina cacciata. Il valore socio-sanitario del comparto, che corrisponde in termini monetari al danno evitato per minori ospedalizzazioni e decessi legati agli effetti degli antibiotici nelle carni d’allevamento o per incidenti con le specie invasive, è invece stimato in 124 milioni di euro.
Infine, considerando il valore economico correlato al settore armiero e alla domanda di prodotti per l’esercizio dell’attività venatoria, dalla ricognizione della letteratura di settore emerge un valore pari a 7,5 miliardi di euro.
“Per la prima volta il sistema della caccia – dichiara Marco Marcatili, Responsabile Sviluppo di Nomisma – decide di aprirsi alla società, ascoltare la comunità e avviare un dialogo aperto e trasparente con il mondo istituzionale, agricolo e ambientale. Il lavoro di Nomisma – spiega Marcatili – è, da un lato, rassicurante perché conferma la non ostilità alla caccia, anzi una inedita apertura della comunità a inserire più selvaggina sostenibile nella propria alimentazione; dall’altro lato, però, induce la Federazione Italiana della Caccia a una responsabilità aumentata in termini di maggiore informazione e disponibilità alla caccia etica e sostenibile. Non sono molte in Italia le attività che danno un contributo annuale di 1 miliardo in termini ambientali – conclude Marcatili –, l’impegno in questa direzione consentirà di traguardare opportunità derivanti dai nuovi scenari climatici, come il presidio dei territori fragili e il rafforzamento delle filiere nazionali sotto il profilo alimentare e occupazionale”.
Elementi di valore e aree di miglioramento dell’attività venatoria
La lettura dei risultati e delle interviste condotte da Nomisma evidenziano alcuni contributi di valore, ma anche aree di miglioramento meritevoli di attenzione.
“Abbiamo deciso di affidare a Nomisma un primo bilancio ambientale dell’attività venatoria in Italia al fine di misurare il reale valore generato per Comunità e Ambiente e indagare il percepito delle famiglie italiane sul nostro operato. Siamo certi che favorire una migliore comprensione delle dinamiche che regolano i rapporti tra Caccia e Società possa concorrere a un giusto riconoscimento del nostro ruolo e della nostra attività, alla luce degli effetti positivi derivanti da una caccia etica e sostenibile” – ha dichiarato Massimo Buconi, Presidente nazionale di Federazione Italiana della Caccia. “I risultati mostrano un sistema importante già in essere – continua Buconi – testimoniando il nostro potenziale ruolo di attori nel processo di transizione ecologica, ma evidenziano alcune aree di miglioramento, su cui strutturare un percorso di confronto con fruitori, stakeholders e Istituzioni. Intendiamo proseguire in questa direzione di dialogo, in modo costante e incisivo”.
Si segnala che ai cacciatori viene riconosciuto un ruolo di “sentinella del territorio” (o più tecnicamente “citizen as sensor”), in quanto soggetti volontari coinvolti nei programmi di monitoraggio delle risorse naturali per migliorarne la gestione e contribuire alla ricerca. Così come viene evidenziato il contributo che il mondo venatorio è in grado di rendere alla collettività attraverso programmi di gestione faunistica, tutela ambientale e sorveglianza sanitaria esercitata da cacciatori volontari. Al contempo, emerge la necessità di sostenere una “caccia etica”, che non solo rispetti i regolamenti ma, soprattutto, favorisca il contenimento e il controllo delle attività illegali, promuovendo e consolidando un ruolo attivo del cacciatore nella tutela di ambiente e habitat. Altro ambito di miglioramento è rappresentato dalla sensibilizzazione del sistema venatorio nel suo complesso sulle azioni di contenimento degli impatti ambientali e su un maggiore sviluppo di un modello di caccia che sia in equilibrio con la biodiversità. A livello organizzativo e gestionale, infine, il settore venatorio italiano può mirare a una dimensione adattiva che permetta di modulare prelievi di selvaggina sulla base di un principio di sostenibilità, potenziando il monitoraggio e la programmazione dei piani di caccia e di controllo. Ciò concorrerebbe a consolidare la compatibilità tra attività venatoria e conservazione della fauna e dell’ambiente.
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Ufficio Stampa FIdC
Ufficio Stampa Nomisma